Importanti vestigia dell’ultima età glaciale sono state scoperte nell’Adriatico grazie alle ricerche condotte nell’ambito della campagna oceanografica ARCO (diatic rals), condotta dall’Istituto di scienze marine (Ismar) del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna a bordo della nave oceanografica Urania. I risultati consentono di delineare nuovi scenari circa la ricostruzione della storia naturale di questo mare e delle sue risorse e, più in generale, circa le conseguenze delle variazioni climatiche sugli ambienti marini. Ne abbiamo parlato con Marco Taviani dell’Ismar, uno dei protagonisti di questa impresa scientifica.
Come è nata l’idea della campagna ARCO, quali erano gli obiettivi?
La campagna ARCO (AdRiatic COrals) è stata concepita nell’ambito delle ricerche che l’ISMAR-CNR di Bologna sta portando avanti da oltre 15 anni sugli ecosistemi corallini di profondità. Più in particolare questa campagna è l’ultima organizzata dal nostro Istituto per il programma europeo “Hermes” e conclude un ciclo di missioni oceanografiche condotte dal mio gruppo che ha permesso di identificare, mappare e campionare decine e decine di siti a coralli profondi (i cosiddetti “coralli bianchi” i più importanti dei quali sono Lophelia pertusa, Madrepora oculata, Desmophyllum dianthus) dall’estremità più occidentale del Mediterraneo, nel mare di Alboran, attraverso tutto il Tirreno, Canale di Sicilia, Ionio, Adriatico meridionale fino al bacino levantino, al largo di Rodi.
ARCO è stata originariamente pianificata per localizzare e mappare dei siti a corallo giallo (Dendrophyllia cornigera). Era infatti da tempo noto ai pescatori locali la presenza di corallo a profondità intorno ai 200 metri, al largo di Pescara nei dintorni della Depressione medio-adriatica che raggiungendo i 250 metri rappresenta il punto più profondo di questo settore dell’Adriatico. L’area è accuratamente evitata dai pescatori per i rischi di perdere o strappare le reti a causa del corallo, ma qualche esemplare è stato accidentalmente raccolto in passato. Ed è così che un cespo di quasi un metro d’altezza di Dendrophyllia fortunosamente salvaguardato da Carlo Froglia e Bruno Antolini dell’Ismar-CNR di Ancona è giunto a Bologna. La datazione al Carbonio 14 del corallo ne ha dimostrato l’età recentissima, suggerendo così l’opportunità di andare a cercare questi giardini di corallo giallo.
Quanto tempo è durata la campagna e chi vi ha collaborato?
La campagna oceanografica si è svolta dal 13 al 22 Dicembre a bordo della Nave Oceanografica Urania, ammiraglia della flottiglia oceanografica del CNR, con partenza dal porto di Messina e sbarco finale a Bari. Le pessime condizioni meteo-marine, che hanno di fatto marcato l’intera missione, hanno messo a dura prova il personale imbarcato e condizionato la missione che però è stata coronata da successo anche grazie alla perizia del Comandate Vincenzo Lubrano, del Primo Ufficiale Gamba, del Nostromo Luigi e di tutto l’equipaggio dell’Urania. Come da abitudine consolidata, il team scientifico era multidisciplinare e in prevalenza costituito da giovani ricercatori precari e studenti provenienti da varie realtà scientifiche italiane (CNR di Bologna e Ancona, ISPRA di Roma, Università di Bari, Bologna, Milano) ed europee (Università di Marsiglia, Plymouth, Zagabria). Vanno rimarcate la professionalità e passione dimostrate da questi giovani geologi marini, oceanografi, paleontologi, biologi molecolari, geofisici, zoologi che dovrebbero rappresentare la spina dorsale della ricerca italiana dell’immediato futuro ma che paradossalmente non riescono invece ad avere sbocchi nel Paese che ha investito tante risorse per la loro formazione.
Una crociera oceanografica necessita di molta organizzazione al fine di ottimizzare tempi e risultati. A bordo dell’Urania i turni sono di quattro ore e dunque il team scientifico è stato suddiviso in tre gruppi che assicurassero la corretta conduzione della campagna 24 ore su 24. Anche i tre capi-turno (Lorenzo Angeletti, Alessadro Ceregato e Vittorio Maselli), responsabili a rotazione della navigazione ed operazioni geo-marine erano giovani precari o studenti. Così come gli esperti delle stazioni idrologiche Riccardo Rodolfo-Metalpa e Saverio Devoti che hanno misurato i parametri dell’acqua di mare e prelevato campioni fino a 1.700 metri di profondità nello Ionio in tempesta; o il paleontologo Vittorio Garilli. E studenti erano Federico Plazzi dedito alla biologia molecolare, e Gabriele Cavallini, Enrico Bonamini, Cristina Casati, Giorgia Trevisan che hanno campionato con la benna di giorno e di notte.
Che strumenti avete utilizzato?
Lo studio di ecosistemi complessi come quelli a coralli di profondità richiede un approccio olistico multidisciplinare che comporti l’acquisizione delle informazioni sull’habitat dei coralli, la topografia del fondo, la struttura delle masse d’acqua, la biodiversità dell’ecosistema, la sua evoluzione temporale. Durante ARCO si è dunque fatto uso di vari tipi di strumentazione; in primis la navigazione di precisione, assicurata dal sistema PDS 2000; la mappatura di precisione del fondale è stata ottenuta utilizzando il sistema multifascio (Multibeam Reson Seabat 8160), mentre informazioni sulla struttura del fondo colonizzato dai coralli e sul tipo dei sedimenti adiacenti sono state fornite dalla sismica a riflessione Chirp integrata da ecoscandagli a 12 kHz e fishfinder. I dati sulla colonna d’acqua e i campioni di acqua a varie profondità necessari a capire l’ambiente marino attorno ai coralli sono stati acquisiti grazie alla sonda CTD multiparametrica; i campioni di fondo sono stati ottenuti utilizzando benne ad alto volume (65 litri di sedimento), carotieri e draghe.
Questa strumentazione per così dire standard, è stata integrata dal Side Scan Sonar, uno strumento che fornisce una sorta di “fotografia acustica” del fondale: in estrema sintesi, questo ecoscandaglio laterale genera una mappa dove si vedono strutture del fondo anche di modesto rilievo e grandezza, come appunto le zone colonizzate dai coralli. Ci vuole molta attenzione nella guida dello strumento che, calato dalla nave, “vola” sul fondo trainato da un cavo ma, grazie alla perizia di Mario Raspagliosi e Andrei Dragonev, sono state ottenute ottime registrazioni delle zone a coralli che ne hanno permesso poi la campionatura precisa.
Uno dei punti focali della spedizione era l’esplorazione diretta dei fondali mediante il ROV (Remote Operating Vehicle), in sostanza un minuscolo sottomarino senza persone ma dotato di videocamera e di limitate capacità di campionatura con braccio robotico. Durante la campagna ARCO sono stati utilizzati il Pollux II dell’Urania guidato da Franco Giordano e il Prometeo della Robomar di Danilo Malatesta. Le avverse condizioni del mare hanno limitato di molto l’operatività del ROV ma è stato comunque possibile documentare l’infangamento di gran parte della zona colonizzata dai coralli, suggerendo che i medesimi non affiorino più ma che siano invece seppelliti dal fango.
Quindi, che cosa avete scoperto?
Le registrazioni mediante il Side Scan Sonar dell’Urania nella zona della midline italo-croata hanno sorprendentemente rivelato che le scogliere, contro ogni aspettativa, non erano rappresentate dal corallo giallo che si cercava (presente in minima parte) ma al contrario da corallo bianco, soprattutto colonie arborescenti di Lophelia prolifera e Madrepora oculata, di cui esisteva qualche sporadica segnalazione soprattutto in acque croate. I coralli bianchi rappresentano uno dei più importanti ecosistemi batiali, cioè delle profondità marine, e generalmente vivono, nell’Atlantico e nel Mediterraneo, a profondità superiori ai 350-400 metri. La presenza di vere e proprie scogliere nella zona del medio Adriatico è dunque giunta del tutto inattesa.
Queste estese scogliere coralline a coralli bianchi (Lophelia e Madrepora) sono situate a meno di 200 metri di profondità e sono plausibilmente scomparse probabilmente a seguito dell’innalzamento della temperatura in epoca post-glaciale. A tutt’oggi, solo nei fiordi della Norvegia si rinvengono scogliere a Lophelia a modesta profondità.
Il corallo bianco rinvenuto è rappresentato da esemplari di notevoli dimensioni e spessore, perfettamente conservati ma non viventi, coperti come si è detto, da un sottilissimo velo di fango. Fino all’elaborazione dei dati e soprattutto fino a che non avremo a disposizione le datazioni radiometriche mediante carbonio-14 ed Uranio/Torio dei coralli, possiamo solo ipotizzarne le cause della morte. E’ probabile che questo tipo di scogliere prosperassero nel medio Adriatico alla fine dell’ultima età glaciale, circa 11-12000 anni fa, quando il livello marino era più basso, e che un repentino infangamento li abbia soffocati. Probabilmente la fase pluviale che seguì quella glaciale portò ad un aumento della portata di sedimento da parte dei fiumi appenninici, causando la torbidità delle acque e coprendo di sedimento i rilievi colonizzati dai coralli. In sostanza, questi ecosistemi corallini avrebbero risentito indirettamente di una fase passata di riscaldamento globale.
Qual è l’importanza di queste scoperte e quali prospettive aprono?
La comunità scientifica internazionale rivolge grande attenzione a questi ecosistemi così peculiari, punti focali di biodiversità negli abissi e che, secondo alcuni, potrebbero essere minacciati dalla progressiva acidificazione degli oceani. Diffusi dappertutto ma minacciati da eventi climatici, gli ecosistemi corallini di profondità sono un’importante risorsa del pianeta, da valutare, gestire e conservare. È pertanto di basilare importanza cercare di capire il funzionamento e i meccanismi che ne regolano la vita e, come nel nostro caso adriatico, il declino e scomparsa.
Quali saranno i prossimi passi?
Grazie a programmi di ricerca nazionali ed europei – tra i quali Hermes e a partire da quest’anno anche il nuovo progetto Hermione dell’UE al quale afferisce anche l’ISMAR-CNR – la ricerca pubblica del nostro Paese potrà portare avanti le ricerche su questo importante ma poco conosciuto patrocinio sommerso, ben presente con scogliere anche rigogliose in acque italiane, dal Tirreno all’Adriatico meridionale.
La prossima campagna della nave Urania dedicata ai coralli visiterà nell’inverno 2009 il Canale di Sicilia, ricco di ecosistemi corallini di profondità. Ma già nel 2010 è previsto il rientro in Adriatico, mare che ci sorprende piacevolmente rivelando incredibili ecosistemi nascosti, in collaborazione con Montenegro, Albania e Croazia, già partner nel team scientifico di ARCO con la zoologa Tatjana Bakran-Petricioli dell’Università di Zagabria. Sarà così possibile esplorare in dettaglio anche il settore orientale dell’Adriatico ed è facile profezia aspettarsi inattese scoperte anche lì.
(a cura di Mario Gargantini)