Si chiama Turritopsis nutricola ed è intenzionata a non morire mai. In realtà la medusa di cui da ieri parlano tutti i giornali non è una novità. Era stata scoperta circa una decina di anni fa da un’equipe di biologi marini italiani, capeggiata dal professor Ferdinando Boero, genovese, docente presso l’Università del Salento. Il motivo per cui sembra tornata di moda questa creatura immortale è legato alla sua notevole diffusione nei sette mari. Ma il professor Boero ci tiene a non creare allarmismi inutili e ad indirizzare le preoccupazioni verso altre giuste cause



 

A quanto risulta è stato il suo team a scoprire questa prodigiosa medusa, come è avvenuto?

Prima di parlare della scoperta vorrei precisare che la ricerca sulla diffusione di queste meduse è stata realizzata dalla dottoressa Maria Pia Miglietta e non, come hanno scritto tutti i giornali riprendendo dall’errore del Telegraph, “Maria Maglietta”. Mi sembra una precisazione necessaria per sottolineare correttamente il merito e il lavoro di questa brava studiosa. 



Il primo a scoprire le particolarità della medusa in questione fu, poco più di quindici anni fa, il professor Giorgio Bavestrello, ai tempi ancora mio studente all’università di Genova e ora professore ordinario di biologia marina ad Ancona. Egli scopri che la Turritopsis nutricola era in grado di attuare il “transdifferenziamento” delle proprie cellule. In seguito il professor Stefano Piraino ed io studiammo il fenomeno approfondendo il punto di vista della dinamica cellulare.

Che cosa si intende per “transdifferenziamento”?

Di solito le cellule, durante lo sviluppo dell’organismo, si differenziano divenendo, a seconda dei casi, cellule muscolari, nervose, epiteliali e via dicendo. Una volta avvenuta questa trasformazione mantengono il proprio destino cellulare e ricoprono quindi sempre lo stesso ruolo fino alla fine della loro vita. Il transdifferenziamento avviene quando invece una cellula che si è differenziata, assumendo il proprio ruolo, avvia un processo di regressione e si de-differenzia per poi riassumere altre funzioni biologiche.



In questo caso dunque cosa avviene di preciso?

Le meduse hanno un ciclo biologico che prevede una fase di “medusa” appunto, quell’organismo che vive nell’acqua libera, in forma planctonica, e una fase esistenziale che le vede vivere sui fondali marini nelle sembianze di un organismo che si chiama “polipo”, da non confondere col “polpo”, il celebre mollusco.

I classici coralli, non sono altro che colonie di polipi. La fase del polipo è quella iniziale e prodromica allo sviluppo delle meduse. Una volta raggiunto lo stadio “medusa”, detti organismi si riproducono sessualmente e dalla riproduzione si generano nuovi polipi.

Ora, dopo la riproduzione le meduse, di norma, muoiono.

La Turritopsis nutricola invece raggiunge il fondo del mare dove le sue cellule si transdifferenziano fino a ricostituire un polipo. È come se una farfalla, anziché morire, tornasse ad essere un bruco.

A che punto sono le conoscenze relative a questo particolare animale?

Finora la Turritopsis è stata studiata dal professor Bavestrello, che ha descritto il fenomeno in termini morfologici generali e dalla nostra equipe che ha approfondito lo studio dei meccanismi cellulari. Per quanto invece riguarda lo studio del controllo genetico siamo ancora del tutto ignari. Questo anche per motivi di finanziamento. In effetti è una ricerca molto impegnativa che necessita di molti più fondi, i quali mancano.

Quando abbiamo pubblicato i risultati delle nostre ricerche l’ufficio stampa dell’Università ha diffuso la parola “immortalità”, che noi non avevamo mai adoperato. Non do nessuna colpa agli addetti stampa, hanno fatto bene. Altrimenti nessuno si sarebbe accorto di noi. Il problema è che al suono della parola “immortalità” si è scatenato il putiferio mediatico. Qui in università sono venute a trovarci le televisioni di ogni angolo del pianeta, Giappone, Francia, Inghilterra etc.

Ogni tanto la storia della medusa immortale, come in questo caso, ritorna alla ribalta delle cronache.

Dove risiede allora il valore scientifico della scoperta e degli studi successivi compiuti dalla dottoressa Miglietta?

La dottoressa Miglietta, per realizzare la propria tesi di dottorato, ha compiuto circa quattro volte il giro del mondo incontrando, pressoché ovunque, questi animali. In seguito ha iniziato a lavorare all’istituto di ricerca tropicale Smithsonian di Panama, con sede a Washington. Ha quindi potuto compiere un’analisi molecolare di questi esemplari ipotizzando che questa loro caratteristica ne abbia notevolmente avvantaggiato la diffusione. L’ha chiamata “silent invasion” perché, dato che la medusa in questione è molto piccola, nessuno si accorge della sua presenza. L’importanza delle conclusioni della Miglietta risiede nei suoi studi molecolari e nella sua analisi biogeografia, non certamente nel fatto che questa medusa stia per mangiarci vivi. Ciononostante il termine “invasione silenziosa” ha inevitabilmente attirato la fantasia dei giornalisti che si sono messi a parlare in termini apocalittici. Invece è di altre meduse che dovremmo preoccuparci…

Che cosa intende?

Se si cerca su Google “Giant jellyfish Japan” si possono trovare con facilità immagini di meduse che pesano 250 kg. Due anni fa un banco di meduse della lunghezza di 15 km si è letteralmente mangiato l’intera comunità di salmoni d’allevamento in Irlanda mandando in fallimento l’industria che li vendeva. Molto più banalmente chi va in vacanza al mare si sarà accorto dell’accresciuto numero di meduse negli ultimi anni. È un dato di fatto che i nostri oceani stanno subendo un notevole incremento, non poi così “silenzioso”, nella popolazione di questi animali.

Questa è una notizia positiva o negativa?

È negativa se consideriamo questo fenomeno legato all’intensissima attività di pesca attuata da tutti i paesi del mondo. È assai più che probabile che sia l’assenza dei pesci a generare la forte presenza di meduse. La natura ci insegna che in un ambiente l’assenza di un tipo di predatore porta inevitabilmente all’arrivo di un altro tipo di predatore.

Da un punto di vista medico si possono prevedere dei vantaggi nello studio di questa straordinaria creatura?

Penso che, dato che la Turritopsis compie questo lavoro di trans differenziamento anche quando sottoposta a stress come l’innalzamento della temperatura o lesioni meccaniche, ci sia una sorta di interruttore genetico che innesca tale processo. Per cui se uno dovesse trovare questo “interruttore” potrebbe anche attivarlo o inserirlo dove non c’è.

Personalmente però non sono così tanto convinto che sia una cosa giusta. È lo stesso dubbio che nutro nei confronti della moda della clonazione, un’ansia di immortalità piuttosto egoistica. Senza considerare il fatto che si tratterebbe comunque di un’immortalità virtuale, perché anche la nostra medusa, una volta che incontra il pesce che la mangia, non torna mica in vita. Per noi sarebbe lo stesso, rimarrebbe sempre la morte per incidente. Lascerei quindi perdere questa parola che, come ho detto, è finora servita soltanto ai giornalisti e mi concentrerei su una scienza un po’ più ragionevole.

La natura cu riserva ancora moltissime sorprese e la fase di esplorazione della biodiversità è ancora lontana dall’essere conclusa. Non abbiamo ancora risposta, per esempio, alla domanda: “quante specie ci sono sul pianeta?”. Paradossalmente spendiamo più soldi per cercare la vita sugli altri pianeti (dove non l’abbiamo mai trovata) che per catalogare la vita sul nostro. Esplorando la biodiversità potremo ancora trovare specie con caratteristiche eccezionali come la Turritopsis.