I ghiacciai sono importanti riserve di acqua dolce e al contempo preziosi indicatori dei cambiamenti climatici passati e in atto. La loro distribuzione sul Pianeta è varia, con una prevalente concentrazione in Antartide e in Groenlandia. Ma anche le loro dimensioni variano molto: si passa dai grandi apparati dell’Himalaya e Karakorum, a ghiacciai di qualche chilometro di superficie, come sulle Alpi, o di pochi ettari come si possono osservare alle basse latitudini. Anche ai tropici, infatti, è possibile trovare ghiacciai purché ovviamente siano presenti rilievi abbastanza elevati da permettere alle nevi di non fondere completamente e di divenire nel tempo (per compattazione e trasformazione dei cristalli) ghiaccio di ghiacciaio.
Fino a non molti decenni fa i ghiacciai tropicali, come vengono denominati delle basse latitudini, erano più che altro una curiosità, una particolarità geografica appena accennata sui manuali e trascurata dalla ricerca scientifica. Solo da una ventina d’anni, a cura di alcuni ricercatori tra i quali spicca l’italiano altoatesino Georg Kaser, docente di Geografia presso l’Università di Innsbruk, sono iniziati sistematici rilievi presso alcuni ghiacciai delle basse latitudini per quantificarne l’estensione e valutarne le relazioni col clima.
I ghiacciai tropicali più studiati sono sicuramente quelli africani, annidati nelle aree più elevate di Kilimanjaro, Monte Kenia e Rwenzori. La loro presenza ha sicuramente influenzato l’aspetto di quei luoghi e la percezione che ne hanno avuto le popolazioni locali. Le aree glacializzate, le “dimore delle nevi” hanno infatti sempre suscitato interesse e rappresentato siti di grande valenza spirituale.
Negli ultimi anni le aree africane dove sono localizzati ghiacciai e nevi perenni sono state inserite nell’elenco dei siti patrimonio dell’Umanità, la celebre lista dell’Unesco dove sono annoverati 878 siti in 138 paesi. Di questi, 174 sono siti di elevatissimo valore naturalistico e ambientale e tra questi vi sono il Monte Kenya e le montagne del Rwenzori (in Uganda). In particolare il Parco Nazionale delle Montagne del Rwenzori è considerato tra i più belli e fragili al contempo. Gli studi più recenti svolti dai ricercatori italiani e austriaci hanno infatti rivelato negli ultimi decenni un’intensa riduzione dei ghiacciai con un decremento areale e volumetrico più rapido di quello che sta interessando i ghiacciai alpini. Nella zona del Rwenzori le analisi di dati remote sensing (immagini satellitari Landsat) hanno evidenziato una riduzione areale di circa il 50% tra il 1987 ed il 2003; per comprendere quanto la situazione sia critica si ricorda che nello stesso intervallo temporale la riduzione dei ghiacciai delle Alpi Lombarde e/o Valdostane è stata di circa il 20%.
Questa intensa riduzione dei ghiacciai ugandesi sembra correlabile a un trend climatico che vede un aumento delle temperature dell’aria e una concomitante riduzione delle precipitazioni e dell’umidità (fattore critico quest’ultimo per ghiacciai dove i processi di sublimazione e brinamento svolgono un ruolo chiave nelle perdite e nell’accumulo di massa).
Se da una parte la ricerca glaciologica e climatologica in Africa e in particolare nel Parco del Rwenzori ha visto negli ultimi anni un progresso importante, dall’altra risultano ancora limitate le ricerche sugli effetti culturali del ritiro e/o della scomparsa dei ghiacciai sulle Montagne della Luna (ndr: così sono stati definiti i rilievi del Rwenzori). I ghiacciai, infatti, non rappresentano solo una risorsa di acqua dolce (anzi la quantità di acqua che racchiudono è poca cosa) ma sono piuttosto un elemento caratterizzante quell’ambiente e quel paesaggio, un simbolo per le popolazioni locali e un polo di attrazione per turisti e alpinisti. Quali potrebbero essere dunque gli effetti della loro riduzione e della loro scomparsa? Oltre agli effetti ambientali si osserverebbero: una riduzione del valore estetico di quelle aree, che abbandonate dai ghiacci vedrebbero prevalere la nuda roccia e i detriti; un minore interesse di turisti, che ora giungono qui attratti da nevi e ghiacci esotici e da impegnative vie in terreno misto (ghiaccio e roccia) e che troverebbero solo rilievi rocciosi con livelli di difficoltà mutati; una diversa percezione del proprio territorio e del proprio ambiente da parte delle popolazioni locali. Queste ultime, secondo alcuni studiosi come lo scrittore Tom Stacey (autore di Tribe, volume dedicato a queste montagne) considerano importantissime le nevi ed i ghiacci perenni, ma non li visitano se non una-due volte nella vita: per loro quindi la scomparsa degli elementi caratterizzanti il paesaggio e i luoghi del vissuto e dell’immaginato può risultare ancor più impattante e portare a una situazione di crisi culturale.
Perciò in questi luoghi è importante non solo approfondire le conoscenze sui processi naturali in atto ma anche predisporre strategie di adattamento culturale, ovvero di preparazione della popolazione ai cambiamenti ambientali per affrontare questa sfida della realtà con gli strumenti per comprenderla, accettarla e apprezzare una natura diversa, ma non necessariamente meno affascinate.