I segreti del nostro organismo sono sempre meno segreti. Con le moderne tecniche di imaging digitale, le promesse suscitate quarant’anni fa dalle prime TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) sono state mantenute ed è sempre più diffuso l’impiego di sistemi basati su computer che ci danno informazioni tridimensionali dell’interno del nostro corpo. Ora si sta varcando una nuova frontiera, che ci porta verso il molecular imaging e consente un nuovo tipo di diagnostica medica. Ne ha parlato recentemente a Milano nel corso del Bioforum 2009 Federico Maisano, col quale abbiamo approfondito l’argomento.



Siamo in un momento interessante dell’evoluzione delle tecniche di imaging, nel passaggio dal medical imaging al molecular imaging? Di che cosa si tratta e quali sono i principali vantaggi?

Le tecniche di imaging hanno beneficiato di straordinari progressi negli ultimi dieci anni, grazie allo sviluppo di nuove macchine e alla disponibilità di mezzi di contrasto sempre più efficienti e sicuri. Per il medical imaging è stato così possibile arrivare a indicazioni diagnostiche sempre più precise, grazie alla disponibilità di informazioni non solo statiche, ma dinamiche; non solo qualitative, ma anche – grazie alla digitalizzazione delle immagini -quantitative. In tal modo, la diagnosi eseguita dall’esperto di medical imaging acquista una grande importanza ai fini dell’individuazione della corretta terapia. Per una completa diagnosi però si richiedono spesso approfondimenti di natura genetica o immunologica; anzi sono questi parametri, i cosiddetti marker, che spesso segnalano l’insorgere di una patologia prima ancora che questa si renda clinicamente apprezzabile. Ottenere questo genere di informazioni tramite una tecnica a immagini è proprio ciò che ci proponiamo col molecular imaging. Utilizzando nuove sonde diagnostiche che riconoscono in maniera specifica i marker di una patologia sarà –  e in parte lo è già – possibile diagnosticare patologie in stadio precoce o monitorarne l’eventuale ricomparsa in seguito ai trattamenti.



Oltre alla diagnostica che cosa cambierà da un punto di vista terapeutico?

Oltre a tali indubbi vantaggi, ci sarà anche quello di poter indirizzare il paziente verso la terapia più adatta, tra quelle teoricamente possibili, puntando proprio su quelle terapie espressamente sviluppate per quel tipo di paziente. In questo senso il molecular imaging rende possibile lo sviluppo di nuove terapie, che permetteranno l’affermarsi della cosiddetta medicina personalizzata, dove si riducono al minimo gli effetti indesiderati perché ogni paziente riceverà la terapia più adatta al profilo molecolare della sua patologia.



Quali sono gli ambiti applicativi più avvantaggiati dall’utilizzo di queste nuove tecniche?

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Senza dubbio quelli relativi al trattamento di patologie che richiedono l’utilizzo di farmaci mirati, in grado di colpire solo la causa della patologia e non tutto l’organismo in maniera indiscriminata. Tra queste le principali sono l’oncologia, le malattie autoimmuni e le patologie cardiovascolari. Grazie al molecular imaging sarà possibile individuare i pazienti che più possono trarre beneficio da certi farmaci e monitorare in maniera precoce e precisa gli effetti del trattamento, evitando così la pratica purtroppo oggi inevitabile di provare una terapia e aspettare di vederne i risultati o, come spesso accade, di constatarne l’inutilità.

 

Dal punto di vista tecnico, ci sono soluzioni che, come mezzo di contrasto, ricorrono al gadolinio: quali sono i suoi pregi e quali gli eventuali limiti?

 

Il gadolinio rappresenta l’elemento caratterizzante dei più diffusi mezzi di contrasto per risonanza magnetica. Si tratta quindi di un elemento chimico entrato nella routine clinica da molti anni che, formulato negli opportuni mezzi di contrasto, viene somministrato ogni anno a milioni di pazienti. Il grande sviluppo di una tecnica sicura ed efficiente come la risonanza magnetica è senza dubbio stato possibile anche grazie alla disponibilità dei mezzi di contrasto a base di gadolinio. Oggi tuttavia si constata che, per i nuovi approcci di imaging molecolare, si richiede una sensibilità maggiore di quella che i tradizionali mezzi di contrasto possono dare. La maggior parte delle soluzioni oggi allo studio prevede ancora di utilizzare il gadolinio, ma ci si sta orientando verso formulazioni molto avanzate, che permetteranno di veicolare nei siti patologici una maggiore concentrazione di mezzo di contrasto. Parallelamente agli sviluppi di queste nuove sonde diagnostiche, assistiamo anche al graduale aumento di potenza delle macchine per risonanza magnetica, che sono in grado di dare immagini sempre più definite e ricche di informazioni.

 

Innovazioni interessanti potrebbero venire dalle nanotecnologie?

 

Effettivamente la maggior parte delle nuove soluzioni sfruttano le nanotecnologie per veicolare nei siti patologici un quantitativo maggiore di mezzo di contrasto senza aumentarne la dose somministrata, anzi abbassandola significativamente e riducendo di molto la frazione dispersa nell’organismo in maniera aspecifica. Si ha così il duplice vantaggio di ridurre la dose per il paziente e aumentare il contrasto nell’area dove si vuole evidenziare la patologia. L’approccio delle nanotecnologie sarà inoltre applicabile anche ai prodotti terapeutici, che potranno esercitare un’azione più efficace per il fatto di concentrarsi nei siti dove la patologia è presente. In uno sviluppo ulteriore, del quale tuttavia già si hanno esempi, realizzarle soluzioni nanotecnologiche veicoleranno contemporaneamente prodotti terapeutici e diagnostici – i cosiddetti teragnostici -, che permetteranno di visualizzare direttamente gli ambiti di distribuzione e azione dei farmaci.