Il fine settimana appena passato sarà ricordato come quello dell’acqua lunare: la notizia della presenza di notevoli quantità di acqua allo stato ghiacciato nei pressi del polo sud della Luna ha infatti dominato le cronache, scatenando le più sfrenate fantasie fantascientifiche sulla futura colonizzazione umana del nostro solitario satellite. In realtà la “scoperta” è avvenuta più di un mese fa, quando una speciale missione della Nasa ha potuto eseguire un singolare esperimento suggerito dagli indizi raccolti tempo fa dalle sonde Clementine e Lunar Prospector. I dati raccolti da queste sonde avevano evidenziato tracce di idrogeno nelle zone polari delle Luna e ciò aveva portato a ipotizzare l’esistenza di acqua; un dato che però andava controllato sperimentalmente. Il laboratorio naturale dell’esperimento è stato un freddo cratere lunare, battezzato Cabeus, in una zona dove la luce solare non arriva mai e dove la temperatura si conserva attorno ai 150 °C sotto lo zero. Qui il 9 ottobre si sono schiantati, in successione, prima uno stadio del missile Atlas V e poi la sonda Lcross (Lunar Crater Observation and Sensing Satellite). Ma non è stato un incidente: l’impatto era stato calcolato allo scopo di sollevare una nube di qualche decina di chilometri per poter sottoporre il polverone così prodotto all’analisi spettroscopica capace di riconoscere eventuali molecole di acqua. Il polverone è stato inferiore alle aspettative ma le immagini fotografiche sono bastate per emettere il verdetto tanto atteso: l’acqua c’è; anche se non zampilla come nelle sorgenti delle nostre vallate europee e non trasformerà i crateri lunari in centri balneari per futuri astronauti.
Ma allora, sarà utilizzabile? E potrà dischiudere una nuova fase delle esplorazioni spaziali, facilitando la realizzazione della base lunare e delle attività scientifiche da tempo progettate per un ambiente dove la gravità è un sesto di quella sulla superficie terrestre?
Piero Benvenuti, scienziato facente parte del CdA della Agenzia Spaziale Italiana (ASI) attenua i toni di entusiasmo, pur riconoscendo che si è trattato di un ottimo lavoro scientifico: «Era un esperimento mirato e ben concepito e si può certamente parlare di successo. Tuttavia i risultati rientrano in un quadro che ci si poteva aspettare e non preludono a grandi cambiamenti dello scenario spaziale. Che ci fosse acqua era ormai chiaro e che si potessero trovare, conservati in zone fredde, i resti ghiacciati di impatti delle comete era pure plausibile. Certo, averne la chiara conferma è un’altra cosa. Ma sarei prudente nel dedurne subito conseguenze rivoluzionarie».
Le altre tre proposte implicano un aumento del budget annuo di 3 miliardi di dollari col quale si potrebbe pensare a un ritorno dell’uomo sulla Luna intorno al 2025.
La scoperta della miniera di ghiaccio sotto Cabeus potrà far pendere la bilancia di Obama verso scenari più avanzati? Anche su questo Benvenuti è cauto. «Le nuove scoperte sono un elemento in più ma non mi sembrano determinanti ai fini di una decisione strategica. Certo, i 90 litri di acqua trovati sono un quantitativo ben superiore a quello dell’acqua distribuita un po’ ovunque sul satellite, che è pochissima; ma anche qualche ulteriore ritrovamento simile non potrà dare contributi tali da attivare un ciclo dell’acqua in grado di alimentare stabilmente una base umana. E poi l’acqua è solo una delle condizioni per l’insediamento; ce ne sono altre, come quella della protezione dalle intense radiazioni solari». È il problema del vento solare, che sulla Luna non è schermato come invece da noi sulla Terra grazie all’ombrello naturale predisposto dal campo magnetico terrestre. L’assenza di protezione si può sopportare per missioni brevi ma non è accettabile per una permanenza prolungata e quindi per una colonizzazione permanente.
A chi proprio non volesse rinunciare all’idea di diventare cittadino selenico, Benvenuti lancia un suggerimento: «Si può indagare sulla probabile presenza sulla Luna di cavità sotterranee dovute a fenomeni lavici: se trovassimo canali del genere, di dimensioni adeguate, allora avremmo risolto la questione della schermatura. Ma i problemi non sarebbero finiti».