Marmitta catalitica? Certo ce l’hanno tutte quelle che non siano proprio delle “matusa” (le automobili).

Ma che cos’è un catalizzatore? Un catalizzatore è essenzialmente una sostanza che permette a una reazione chimica di avvenire in condizioni più blande di quanto previsto: questo permette di far avvenire le reazioni con un risparmio di energia e con un maggior controllo dei prodotti finali.



Una categoria molto importante sono i catalizzatori eterogenei costituti da metalli finemente suddivisi depositati su un supporto, in genere costituito da ossidi metallici. A questa categoria appartengono i catalizzatori delle marmitte catalitiche, ma anche di quelle stufe, dette appunto catalitiche, che permettono una combustione talmente completa da emettere solo anidride carbonica e acqua e che quindi, oltre essere efficienti energeticamente, non necessitano di una canna fumaria.



Le reazioni chimiche catalizzate con metalli hanno da tempo un enorme rilievo economico e sono state responsabili di numerosi cambiamenti nella vita umana.

Il primo processo catalitico applicato a livello industriale è stato la sintesi dell’ammoniaca a partire da azoto e idrogeno, iniziata in Germania nel primo decennio del novecento. Per sottolinearne l’importanza basta ricordare che l’ammoniaca è la base per la produzione dei concimi chimici, che hanno rivoluzionato l’agricoltura.

Negli anni ‘40 del Novecento è stato sviluppato il cosiddetto cracking del petrolio che ha permesso da un lato la produzione di carburanti più efficienti e dall’altro sfruttare meglio il petrolio grezzo modificando, secondo le necessità, i rapporti di quantità dei diversi prodotti petroliferi.



 

Processi catalitici sono anche quelli alla base della produzione di molte materie plastiche, basta citare il polipropilene (il Moplen, per chi si ricorda ancora del mitico Carosello in televisione) o l’idrogenazione degli oli per la produzione di quelle che si chiamano margarine e che vengono indicate negli ingredienti dei prodotti alimentari come grassi idrogenati.

È da tempo noto che l’efficienza di un catalizzatore dipende fortemente dalla forma e dalle dimensioni delle particelle metalliche perché il fenomeno è essenzialmente superficiale. Gli studi per capire come forma le caratteristiche delle particelle, a parità di metallo determinano l’attività catalitica impegnano da decenni gli studiosi.

Nell’ultimo numero di Science è stato pubblicato da quattro ricercatori dell’università dello Utah un lavoro che ci porta ad una più profonda comprensione della correlazione tra dimensioni, struttura elettronica e efficienza catalitica in generale. Il metallo oggetto dello studio è il palladio, un metallo nobile, di costo molto elevato, che insieme al platino è uno dei più usati in moltissimi catalizzatori, per esempio nelle marmitte di cui si diceva prima.

Particelle di palladio sono state selezionate in base alla dimensione, o meglio in base al numero di atomi, e depositate sulla superficie di cristalli di biossido di titanio, un materiale molto usato come supporto per i catalizzatori metallici. Si è potuto così avere una serie di catalizzatori diversi, ognuno formato da particelle tutte della stessa dimensione. Le particelle erano formate da uno fino a venticinque atomi, quindi avevano un diametro da 0,36 a poco più di 0,8-1,5 nanometri, si tratta di dimensioni che le fanno classificare tra quelle che oggigiorno è usuale chiamare nanoparticelle.

 

 

La reazione studiata era l’ossidazione di ossido di carbonio a anidride carbonica. Il risultato è stato che l’attività del catalizzatore aumenta fino alla dimensione di 20 atomi per poi diminuire fino all’attività già nota delle particelle di dimensioni superiori alla scala nano.

Lo studio conferma la nozione empirica che la massima dispersione del metallo favorisce l’attività e inoltre mette in correlazione quest’ultima con la struttura elettronica dell’aggregato metallico studiata attraverso la misura del potenziale di ionizzazione.

Una migliore conoscenza delle correlazioni tra proprietà e attività dei catalizzatori permette la realizzazione di reazioni chimiche molto più mirate con una minore quantità di prodotti collaterali di scarto e quindi con minore spreco di risorse sia in termini di materie prime che di energia.