Prendete un capello e, come nell’adagio, spaccatelo (per il senso della lunghezza) non in quattro ma in diecimila parti. Otterrete un filo dello spessore di una decina di milionesimi di millimetro: lo spessore tipico di un nanofilo. Che gusto ci sia a fare un esercizio del genere lo sanno bene i nanotecnologi che hanno scoperto come la materia, ridotta a dimensioni nanometriche, presenti comportamenti decisamente inattesi. Ad esempio, nanofili di silicio come quelli studiati da Yong Zhu, docente di ingegneria elettronica, e collaboratori, alla North Carolina State University (NCSU) hanno proprietà ottiche ed elettriche del tutto diverse da quelle del silicio “ordinario”, il materiale cristallino alla base dell’elettronica moderna. Ma non basta: diversamente che sulla scala macroscopica, sulla nanoscala le proprietà che normalmente non dipendono dalle dimensioni e dalla massa (quelle che vengono dette proprietà intensive) cambiano al variare della taglia della nanostruttura, aprendo la possibilità di modificare in modo continuo le caratteristiche del materiale.



Che tutto questo fosse vero per le proprietà legate alla struttura elettronica dei nanofili di silicio è cosa nota da almeno un decennio ed è una delle principali ragioni per cui questi oggetti sono al centro dell’interesse scientifico e tecnologico per applicazioni che spaziano dall’optoelettronica alla conversione termoelettrica. Meno chiaro era come la taglia dei nanofili ne modificasse le proprietà meccaniche. Analisi condotte presso differenti laboratori sembravano mostrare un quadro confuso e contraddittorio, con risultanze sperimentali spesso nettamente contrastanti, tali da rendere discutibile la possibilità di utilizzare in modo affidabile i nanofili di silicio in applicazioni tecnologiche.



Uno dei meriti principali dello studio di Zhu sta non solo nell’aver fornito una delle prime determinazioni affidabili delle caratteristiche elastiche e plastiche dei nanofili di silicio, ma anche (e forse soprattutto) nell’aver proposto una chiave interpretativa dei risultati apparentemente spuri riportati da molti laboratori.

 

Secondo Zhu i nanofili di silicio hanno proprietà meccaniche che non solo sono, ovviamente, molto diverse dal silicio massivo; che non solo dipendono dallo spessore del nanofilo; ma che – e questo era assai meno atteso – variano enormemente in rapporto alle modalità di preparazione del nanofilo stesso. Il metodo messo a punto alla NCSU utilizza un processo di crescita da fase vapore (un processo molto interessante, dato che si presta assai bene a una prospettica industrializzazione) che consente di ottenere fili con superfici non ossidate. Un risultato molto diverso da quello conseguibile per evaporazione di silicio, che di regola produce fili superficialmente ossidati. Non è un dettaglio: i fili non ossidati presentano infatti un comportamento perfettamente elastico in grado di reggere un carico di rottura estremamente elevato, diversamente dai fili ossidati che invece si deformano plasticamente già per carichi relativamente modesti.



Il risultato della ricerca è quindi di grande interesse sia dal punto di vista fondamentale sia da quello più tecnologico. Sul primo versante l’evidenza di una dipendenza delle proprietà fisiche della nanostruttura dallo stato chimico delle superfici offre un’ulteriore manopola su cui agire per controllare le caratteristiche del sistema. Sul piano applicativo, l’individuazione di una modalità preparativa per realizzare nanofili in grado di sopportare carichi elevati senza deformazioni permanenti apre la strada al loro impiego: ad esempio, in dispositivi piezoresistivi in grado di convertire lo sforzo meccanico applicato in una variazione di resistenza elettrica.

 

 

Un significativo passo in avanti verso la realizzazione di nanodispositivi capaci di misurare, ad esempio, la distribuzione di pressione su aree submicrometriche. Ma anche rilevante per tutte quelle applicazioni strutturali nelle quali le nanostrutture sono sottoposte a notevoli sollecitazioni meccaniche come accade, per citare un caso notevole, nei dispositivi nanofluidici per la biodiagnostica in vitro e in vivo.