Le differenze genetiche fra individui appartenenti ad una specie sono le fondamenta per la diversità fra specie e in ultima analisi fra ecosistemi. In assenza di sufficiente diversità genetica una popolazione non può evolvere e adattarsi ai cambiamenti ambientali e quindi sopravvivere quando è minacciata da pressioni naturali e antropiche. La conservazione della diversità genetica è perciò di importanza fondamentale anche per la protezione della biodiversità propria dei livelli organizzativi più alti (specie, ecosistemi).
L’ambiente marino ospita la maggior variabilità animale del globo: 35 phyla (ovvero tipi) contro gli 11 registrati in ambiente terrestre. È bene ricordare che per due terzi la diversità marina è bentonica (cioè vive a contatto con il fondo) mentre solo per un terzo è di tipo pelagico (cioè presente nella colonna d’acqua).
Tutte le ricerche più recenti indicano che gli ecosistemi marini, e in particolare le aree costiere dove si concentra gran parte della diversità delle specie, sono sottoposti a cambiamenti rapidi e radicali. Fra i fattori responsabili vanno annoverati:
L’alterazione e la distruzione dell’habitat, dovute all’introduzione di difese costiere, alla costruzione di aree portuali, al rimaneggiamento di spiagge e fondali a scopi turistici, ecc.;
I cambiamenti climatici che si esprimono, ad esempio, nell’aumentata frequenza di eccezionali eventi estivi di riscaldamento delle acque mediterranee con conseguenti morie di organismi bentonici, oppure nello spostamento della distribuzione geografica di alcune specie;
L’introduzione di specie invasive che, se da un lato arricchisce il nostro bacino di nuovi organismi, dall’altro permette a specie così introdotte e molto competitive di vincere su quelle autoctone;
L’inquinamento caratteristico delle aree maggiormente antropizzate, che determina l’eliminazione delle specie più sensibili a favore di quelle più resistenti, generando un impoverimento della biodiversità locale;
Lo sfruttamento eccessivo delle risorse, ad esempio attraverso la pesca, che mette a repentaglio la sopravvivenza di alcune specie riducendo di conseguenza la diversità.
Appare quindi necessaria ed urgente l’attuazione di piani di conservazione e protezione della biodiversità in aree marine e costiere. Inoltre speciale attenzione dovrà essere dedicata alla componente genetica che fornisce preziose informazioni sullo stato di salute della risorsa e, in particolare, su eventuali stadi iniziali di crisi sui quali si può intervenire.
Le linee di ricerca attuali includono già moltissime iniziative finalizzate alla conservazione della biodiversità. È urgente però:
Continuare gli studi di base rivolti ai diversi aspetti della biologia e dell’ecologia degli ecosistemi marini, fondamentali per meglio comprendere i processi che regolano questo ambiente;
Indagare i meccanismi e i processi attraverso i quali i cambiamenti climatici influenzano la biodiversità marina e valutarne le conseguenze sugli ecosistemi marini (es. perdita di specie carbonatiche, quali i coralli, a causa dello stress termico e/o dei possibili effetti dell’acidificazione delle acque previsti nei prossimi decenni; alterazioni nelle comunità di pregio; modifiche nella distribuzione delle specie dovute ad uno spostamento della distribuzione spaziale dell’optimum ambientale);
Completare, ampliare e gestire in maniera corretta la rete di Aree Marine Protette al fine di salvaguardare la diversità di specie ed ecosistemi e favorire il flusso genico fra popolazioni;
Esplorare gli effetti della frammentazione/riconnessione dell’habitat, un concetto relativamente nuovo nell’ambiente marino, sull’isolamento/connettività fra popolazioni;
Adottare un approccio a “scala di bacino” per indagare i confini biogeografici, mediante la filogeografia, e la vulnerabilità delle specie nell’intero areale di distribuzione;
Focalizzarsi su specie marine oggetto di sfruttamento, e sull’ecosistema in cui esse vivono, allo scopo di identificare l’entità degli stock, valutare lo stato di salute delle risorse e suggerire misure efficaci per la gestione sostenibile;
Indagare le risposte di geni/popolazioni/specie/ecosistemi agli inquinanti ed esplorare il ruolo di questi nell’alterare i pattern di biodiversità nell’ambiente naturale vero e proprio e non soltanto attraverso esperimenti di laboratorio.
In Italia lo studio della biodiversità marina ha radici storiche, riconducibili ai grandi tassonomi del passato. Questa tradizione ancora permane tanto che la comunità scientifica italiana ha compilato e mantiene aggiornata una ricchissima checklist della flora e della fauna dei nostri mari che annovera, per la sola fauna, più di 8.000 specie marine. I tassonomi italiani hanno inoltre partecipato alla stesura di un atlante di specie marine recentemente introdotte nel Mediterraneo, curato dalla Ciesm (Commissione Internazionale per l’Esplorazione del Mar Mediterraneo). Questi due strumenti, assieme a un grosso bagaglio di conoscenze ecologiche, costituiscono le basi per affrontare gli studi indirizzati alla valutazione della biodiversità nei nostri mari, dagli ambienti superficiali a quelli profondi.
Nel 2004 la Commissione Europea ha finanziato la realizzazione della rete di eccellenza Marbef (Marine Biodiversity and Ecosystem Functioning), finalizzata a coordinare gli sforzi di ricerca europei sulla biodiversità marina ed alla quale partecipano numerose istituzioni italiane. Il finanziamento comunitario è ora terminato ma in Olanda si sta costituendo l’European Institute for the Study of Marine Biodiversity and Ecosystem Functioning che assicurerà la continuazione della rete Marbef. Simili iniziative sono fondamentali per poter affrontare su ampia scala il problema della conservazione della biodiversità marina e tentare di ridurre la perdita di essa.
Una recente conferenza tenutasi al Parlamento Europeo all’inizio di novembre ha evidenziato come l’obiettivo di fermare la perdita di biodiversità entro il 2010, che ci si era prefissi nell’ambito del summit mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg del 2002, non sia stato raggiunto. Ne consegue che grossi sforzi dovranno essere canalizzati in questa direzione negli anni a venire, poiché la biodiversità degli ecosistemi marini è essenziale per il funzionamento della nostra biosfera e di conseguenza per il benessere umano.