A Copenhagen si è conclusa la prima delle due settimane di lavori della 15a Conferenza dei Paesi dell’Onu (Conference of Parties, COP), sottoscrittori della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (Unfccc) e del Protocollo di Kyoto. Con una straordinaria partecipazione di delegati (sono accreditate oltre 33.000 persone), questa Conferenza dovrebbe costituire la tappa finale della roadmap di Bali, stabilita dalla COP13 nel 2007. L’obiettivo è quello di varare un «nuovo accordo internazionale onnicomprensivo sui cambiamenti climatici per il periodo successivo al 2012».
Gli elementi costitutivi essenziali di tale accordo sono: gli impegni globali nel processo di riduzione delle emissioni climalteranti; gli obiettivi intermedi (2020-2030) e a medio termine (2050) di riduzione delle emissioni di gas serra dei Paesi industrializzati e le azioni di mitigazione dei Paesi in via di sviluppo; il sostegno finanziario per la mitigazione, l’adattamento e le tecnologie; il trasferimento tecnologico e la “costruzione di capacità” presso i Paesi in via di sviluppo e più vulnerabili al mutamento del clima.
Il Presidente della COP15, il Ministro danese del clima e dell’energia, Connie Hedegaard, insieme al Segretario Generale Unfccc, Yvo de Boer, stanno compiendo ogni sforzo negoziale per raggiungere gli obiettivi del mandato, sebbene i testi contengano ancora molte opzioni. Le alternative (parole o intere frasi) riguardano per lo più il livello di aiuto ai Paesi in via di sviluppo e la scala delle riduzioni delle emissioni di gas serra dei Paesi industrializzati. Il razionale nell’introduzione del draft dell’accordo farebbe esplicito riferimento al recente Quarto Rapporto elaborato dal panel scientifico delle Nazioni Unite Ipcc (“Il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile”), sottolineando in particolare l’urgenza dell’azione e la necessità di fornire risposte alle popolazioni e agli ecosistemi più vulnerabili.
Tra le posizioni negoziali sostenute dai diversi schieramenti geo-politici sono molto rilevanti quelle degli stati delle piccole isole, minacciate direttamente dagli impatti climatici, che chiedono al mondo di ridurre da subito le emissioni di gas serra, non avendo loro alcuna responsabilità in merito; quelle dei Paesi in via di sviluppo che chiedono riduzioni massicce da parte dei Paesi sviluppati in nome del principio delle «responsabilità storiche»; quelle degli Stati Uniti e dei loro alleati più stretti che vorrebbero spostare il grosso delle riduzioni nel futuro, vincolando in questi impegni anche i Paesi in via di sviluppo. Infine, l’Unione Europea che sta lavorando per un compromesso da approvare a Copenhagen.
Per il momento sembra essere tutto ancora possibile, inclusa l’eventualità che le decisioni assunte dalla COP15 possano non essere testi legali vincolanti, pronti a dare l’avvio al periodo di impegni successivo al 2010, spostando così la loro approvazione alla successiva Conferenza. In questo senso, sarà cruciale l’alta sessione negoziale prevista per questa settimana che vedrà gli interventi dei Capi di Stato di oltre 190 Paesi.
Nell’attesa, mentre i delegati attraversano il palazzo dei congressi, portando con sé le parole che andranno ad eliminare le tante opzioni ancora contenute nelle proposte negoziali, centinaia sono gli eventi scientifici collaterali che coinvolgono scienziati ed esperti riconosciuti a livello mondiale (Rajendra Pachauri, Wangari Maathai, Vandana Shiva, Robert Watson…).
In queste sedi vengono presentate le più recenti conoscenze scientifiche, alla base della comprensione del cambiamento climatico e del suo indirizzo. In particolare alcuni lavori meritano di essere studiati per la portata degli esiti emersi: le ricerche sui sistemi di monitoraggio delle variabili climatiche (Wmo, Esa, Eea), lo studio sul cambiamento climatico e la sicurezza alimentare (Fao), il documento sul ruolo del finanziamento proveniente dal settore privato per la transizione ad una low-carbon economy (Unep), il rapporto sulla gestione dell’acqua di falda sotto la pressione dei cambiamenti climatici (Unesco), il piano di adattamento ai cambiamenti climatici della Francia, il programma Avoid volto a prevenire gli impatti più devastanti (Met Office Hadley Centre) e, infine, i molteplici programmi di mitigazione definiti da centinaia di città sparse in tutto il mondo (Iclei, World Mayors Cuncil on Climate Change).
A questo proposito è utile ricordare un dato e un impegno. L’area metropolitana della capitale danese è abitata da oltre un milione di persone, delle quali più di un terzo si reca al posto di lavoro o a scuola in bicicletta. Con un piano concreto di azioni di mitigazione nel settore energetico, industriale e dei trasporti, Copenhagen ha annunciato che mira ad essere la prima capitale al mondo carbon neutral. È un segnale di speranza anche questa è “Hope-nhagen”.