Qualche giorno fa, è morto Giuseppe Del Re, figura poliedrica della cultura italiana. Ho usato un termine “pesante”, come quello di cultura, ma credo che sia appropriato per Giuseppe. Infatti, essendo stato un uomo di scienza, epistemologo, profondamente religioso e impegnato nella didattica e nella formazione delle nuove generazioni, non trovo nessun termine migliore di “uomo di cultura” per sintetizzare tutto questo. Anzi, è sicuramente riduttivo parlare solamente di cultura italiana in quanto le sue frequentazioni internazionali (con lunghi periodi vissuti all’estero) e le notevoli pubblicazioni in lingua inglese fanno di lui un personaggio di notevole levatura internazionale. Il compito di ricordarlo è, quindi, assolutamente arduo e mi limiterò ad alcuni flash, partendo da esperienze personali e cercando di dare un’idea dell’uomo di cultura più che dello specialista di svariate discipline.
La mia conoscenza di Giuseppe data ormai 30 anni, da quando, studente del terzo anno di Chimica all’Università di Napoli, decisi di seguire il corso di chimica teorica. Ricordo che fui il solo a presentarmi all’incontro con questo sconosciuto professore, ma ne rimasi così colpito che parlandone con gli altri studenti quintuplicai il numero degli allievi alla seconda lezione. Questo è il primo punto da sottolineare: era un professore coinvolgente, uno di quelli che, nel bene o nel male, non passano inosservati e che ti lasciano qualcosa per tutta la vita. Dei cinque studenti di quell’anno, almeno quattro sono rimasti legati alla chimica teorica e, in modo o nell’altro, a lui. Per parte mia, due anni dopo, inizia la tesi sui “siti metastabili”. Questo è il secondo punto che vorrei sottolineare. Il Del Re scienziato è stato tra i primi a individuare i fenomeni dipendenti dal tempo come un fertile settore di ricerca nella chimica teorica; oggi sono molti a lavorarci, dai premi Nobel a molti ricercatori, tra cui più di un suo discepolo. Saper vedere in anticipo un nuovo settore in sviluppo, era una delle sue migliori caratteristiche scientifiche.
Giuseppe non era, tuttavia, affascinato solo dal nuovo; anzi spesso ci chiedeva, e si chiedeva, di tornare ai “classici” per capire alcuni concetti scientifici che la “fretta” della ricerca odierna ha dimenticato di approfondire, quando non ha decisamente travisato. Ecco un altro punto essenziale del suo lavoro: l’analisi puntuale dei principali concetti della chimica. Concetti come orbitale o “cammino di reazione” erano per lui punti nodali da chiarire e tener sempre presente e questo sia dal punto di vista strettamente scientifico sia da quello epistemologico. Proprio a partire da questi due concetti si può schematizzare il suo lavoro scientifico: studiare gli aspetti statici e dinamici di sistemi molecolari d’interesse sperimentale, vale a dire sia le strutture e le energie sia la caratterizzazione del meccanismo e dell’evoluzione temporale di tali sistemi microscopici. Va qui sottolineato un punto fondamentale: per lui tali sistemi dovevano essere sperimentalmente importanti tanto da attrarre il suo interesse; differenziandosi in questo da altri chimici teorici per i quali spesso il sistema studiato è solo un esempio, indipendente dalla sua rilevanza sperimentale.
Sempre sul versante scientifico vorrei sottolineare che Giuseppe, pur essendo un “tecnico” di tutto rispetto – e il suo libro sui vettori e sulle matrici sta a dimostrarlo – cercava sempre di andare oltre tale aspetto, di essere un uno che fa teoria chimica e non un chimico computazionale. In quest’ottica si capiscono anche i lavori come quello del 1958 sulle cariche atomiche, che lo ha lanciato, giovane ricercatore di ventisei anni) sulla ribalta internazionale della chimica. In questo lavoro, per esempio, oltre allo strumento tecnico del metodo per calcolare le cariche atomiche in sistemi a molti atomi – metodo che a distanza di 50 anni è ancora tra pochi utilizzabili per sistemi biologici – venivano modellizzate le principali caratteristiche intrinseche e di interazione tra gli atomi, cioè si faceva “teoria”.
Tornando al personale, in anni in cui ero ancora studente, ricordo Del Re come uno dei promotori della nascita di un gruppo di lavoro sui “fondamenti storici ed epistemologici” della chimica. Venivano a Napoli i pochi che si occupavano di storia della chimica ed era coinvolto qualche filosofo interessato all’argomento. Io vi partecipavo volentieri e tra i lasciti di Del Re posso annoverare anche questi aspetti generali, culturali della chimica: non è un caso che la mia prima pubblicazione fosse intitolata “Modelli di spiegazione scientifica e specificità della chimica” e fosse firmata insieme con lui. Giuseppe coltivava da sempre tali aspetti della chimica e ci raccontava quando a un congresso aveva affermato che la scienza non si occupava solo del “come” ma anche del “perché”, facendo inorridire i presenti, anche se erano dei “perché” puramente scientifici. Oggi sempre più ricercatori non si accontentano di fermarsi a descrivere un fatto scientifico, ma pretendono di interpretarlo, di capirne i “perché”. Il lascito di Del Re in questo campo potrà essere capito appieno solo in futuro perché, come ci faceva sempre notare, i filosofi della scienza ancora non hanno scoperto che non esistono solo la fisica e la biologia e che il panorama scientifico è molto più articolato e complesso. “Complesso”, ecco un termine su cui Giuseppe si è sempre concentrato e su cui si è molto soffermato nell’ultimo periodo della sua riflessione, ma, ancora una volta, era probabilmente in anticipo sui tempi.
Agli aspetti religiosi di Del Re vorrei solo accennare, anche se per lui erano fondamentali. Era questo l’unico campo in cui non eravamo in perfetta sintonia. Non che si litigasse: c’era da ambedue le parti il massimo rispetto delle posizioni altrui, ma la sua sensibilità, nonostante i suoi sforzi, non è riuscita a coinvolgermi personalmente. Tuttavia, va notato che questi aspetti hanno caratterizzato, oltre le sue riflessioni, anche la sua pratica quotidiana sia come persona di cultura (nella sua accezione più ampia) sia come uomo. Vorrei completare questa breve riflessione con il ruolo di “didatta” che Del Re aveva assunto nella fase finale della sua vita. Da professore universitario era sempre stato sensibile alla didattica, ma negli ultimi anni si era occupato anche della riforma della scuola secondaria. In quest’ambito ricordo il nostro ultimo incontro a Frascati per l’Invalsi, dove lui aveva organizzato una riflessione sul ruolo dei concetti di sistema e complessità in ambito didattico. Immediatamente prima della notizia del suo decesso ho saputo che dal materiale di quell’incontro è uscito un libro, curato da lui – già malato e sofferente – che sviluppa il tema della complessità dinamica dei processi educativi.