Quando frequentavo il liceo, parecchi anni fa, in corrispondenza con lo studio delle scienze, assieme ad alcuni compagni di classe tentai, con poco successo, di nutrire qualche cristallo di cloruro di sodio e di qualche altro sale. La tecnica utilizzata per questo esperimento consiste nel sospendere, in una soluzione soprassàtura del sale, un minuscolo cristallo, e questo inizia a crescere in modo regolare se il tutto non viene disturbato in alcun modo.
Ciò che non funzionò, nei nostri tentativi, era proprio il mancato rispetto di queste condizioni di quiete, oltre alla nostra impazienza.
I cristalli affascinano perché rendono visibili le strutture materiali ultra-microscopiche, i reticoli molecolari, e mostrano forme facilmente ricavabili dalla geometria euclidea. I cristalli che si rinvengono in natura (come i nostri tentativi, ma con una estetica molto migliore) mostrano generalmente quanti disturbi ha avuto il cristallo durante la sua crescita, disturbi che “rovinano” la perfezione geometrica che si può trovare nei cristalli ottenuti artificialmente.
Tutte le forme che vediamo in natura, siano esse relative ad oggetti inanimati o ad organismi, sono sempre delle “istantanee” di un processo, più o meno lungo, di trasformazione e di evoluzione, e testimoniano la storia di questo processo. Se passiamo dai cristalli a forme macroscopiche come una montagna, le intricate confluenze di un bacino fluviale, un tratto di costa marina, e poi alle forme organiche di individui e colonie, ci allontaniamo sempre di più dai solidi regolari della geometria euclidea.
Da quando il matematico Mandelbrot ha iniziato a rappresentare su uno schermo di computer i luoghi geometrici creati dalla applicazione di semplici formule ricorsive (cioè applicate più volte, e ogni volta sul risultato del passo precedente), si è aperto un mondo magico di immagini splendide, evocative di fenomeni complessi, somiglianti proprio a queste forme naturali.
Un aspetto interessante di queste rappresentazioni grafiche è che né dalla formula applicata (la più classica delle quali è z(n) = z(n-1)^2 + c) né dalla convenzione utilizzata per colorare i luoghi geometrici sullo schermo, si può prevedere il risultato estetico. Una caratteristica comune alle immagini frattali è la ripetizione di specifiche strutture a molti (matematicamente infiniti) livelli di scala.
Classici esempi di forme frattali evocative di forme organiche sono le matrici generate dal matematico Barnsley, una delle quali genera una bellissima felce. Una volta viste le forme frattali ottenute matematicamente, possiamo facilmente riconoscerle in oggetti familiari, come lo sviluppo dei rami di un albero, la splendida architettura multi-livello del broccolo romano, la costa marina, i vortici che si formano in un torrente.
Parlando dei cristalli abbiamo usato le parole “disturbi” e “rovina delle forme”. Se spostiamo la nostra attenzione alle forme organiche, esperimentiamo invece una fascinazione estetica che nella mia esperienza è assolutamente condivisa al 100%.
La geometria frattale si può vedere e ammirare come geometria della evoluzione dei sistemi complessi, come geometria del caos. In questa luce anziché parlare di disturbi dobbiamo parlare di co-evoluzione di sistemi che interagiscono, sistemi simplastici, che nel tempo hanno creato la affascinante complessità del nostro ambiente. In esso sia le forme inorganiche sia quelle organiche testimoniano questa complessa co-evoluzione, e generalmente attribuiamo un alto valore estetico proprio alla complessità: una costa rocciosa, con rocce di diversa natura che vengono scolpite dal vento e dalle onde è più interessante di una spiaggia, il tronco tormentato di un ulivo secolare, un cielo carico di nuvole minacciose, ci affascinano.
A quanto mi risulta, non è stata ancora trovata una chiara spiegazione delle ragioni che mettono in relazione ad esempio la struttura di rami e rametti di un albero e la formula matematica che genera l’immagine frattale che la rappresenta graficamente. Certamente c’è la ricorsività del rispettivo sviluppo: da un lato rappresentata da come le cellule dell’albero si dispongono l’una a partire dall’altra, e dall’altro come ciascun pixel dello schermo viene generato applicando la formula di base per un numero determinato di volte. Questa relazione è però piuttosto lasca, anche perché l’aspetto estetico del frattale dipende da convenzioni relative alla tavolozza di colori da usare.
Al di là degli aspetti estetici della geometria frattale, esistono specifiche applicazioni pratiche, e come esempio possiamo prendere l’analisi di fotografie satellitari ed aeree per distinguere, in tutte le possibili sfumature, l’intersezione di paesaggi completamente naturali con altri antropizzati. L’analisi si basa essenzialmente sulla topologia e sugli studi del matematico Hausdorff, che all’inizio del secolo scorso ha codificato le principali nozioni topologiche.
Un tratto di costa marina, come abbiamo detto, ha un aspetto frattale, in quanto la sua caratteristica di anfrattuosità si ripete a scale diverse; anche i perimetri degli areali (che sono i territori abitati da determinate specie, come quelle arboree) hanno questa caratteristica frattale: semplificando la topologia di queste forme, si può dire che mentre il perimetro di una forma euclidea ha dimensione 1 (è una linea), il perimetro di una forma frattale è 1 più qualcosa: maggiore è questo qualcosa e più frastagliato è questo perimetro. Se questa dimensione del perimetro raggiungesse 2 (limite matematico) coprirebbe tutto il piano, diventerebbe una superficie.
La geometria dell’uomo è euclidea, quella della natura è frattale.
Tornando alle fotografie satellitari, si vede chiaramente la differenza tra le aree territoriali senza intervento umano, oppure adibite a pascolo, e le aree agricole e urbane, e tutte le situazioni intermedie. Si passa da confini lineari e decisi, che indicano antropizzazione, fino a confini involuti e indecisi, che indicano natura libera. Questa tecnica, tra le altre applicazioni, ha portato a riconoscere aree archeologiche non riconoscibili da terra prima di queste analisi.