Il quinto rapporto sui cambiamenti climatici sarà pronto nel 2014, ma i vari delegati e ricercatori dell’ Intergovernmental Panel on Climate Change, più noto come IPCC, iniziano a lavorarci per assemblare i dati e rivedere, come molti auspicano, i modelli sui quali basare le indicazioni indirizzate ai decisori politici. Non potranno quindi non tenere in debito conto studi come quelli Andrew Dessler e Steven Sherwood, che sono ritornati con un recente articolo sulla rivista Science sul tema a loro caro dell’influenza del vapor acqueo nel determinare l’evoluzione climatica del Pianeta. L’analisi dei due scienziati sembra dimostrare che il vapor d’acqua incide sul riscaldamento globale in misura maggiore di quanto si pensasse: l’umidità atmosferica agirebbe come feedback positivo, cioè come rinforzo (tutt’altro che “positivo”, a dispetto del termine), in grado addirittura, secondo Dessler e Sherwood, di raddoppiare l’effetto di riscaldamento dovuto alle altre cause, naturali e antropiche.



Abbiamo chiesto a Franco Prodi, direttore dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Cnr, di spiegarci questi fenomeni.

Quando si parla di effetto serra si chiama in causa la famigerata anidride carbonica (CO2) , ma non si tratta solo di questo gas, vero?

Di solito non si riflette molto sul fatto che anche il vapor d’acqua è una molecola triatomica, esattamente come la CO2, e tutte le molecole triatomiche in atmosfera fanno “effetto serra”. Quindi anche il vapor d’acqua è un gas serra. L’effetto di feedback positivo è abbastanza intuibile, nel senso che quanto più è elevato è il contenuto di vapor d’acqua in atmosfera tanto più intenso è l’effetto serra e di conseguenza maggiore sarà anche l’evaporazione, quindi l’immissione di ulteriore vapore nell’aria. Questo è il concetto di retroazione positiva: un fenomeno che si autoincrementa quanto più si verifica. Bisogna anche tener conto che il vapor d’acqua ha una sua funzione nella transizione di fase: infatti, come è noto, il vapore può passare allo stato liquido e quando ciò accade viene rilasciato il cosiddetto calore latente di evaporazione, cioè del calore (misurato in calorie per grammo) che viene assorbito durante l’evaporazione e che durante la condensazione viene restituito all’ambiente. Il vapor d’acqua è quindi è una molecola molto importante; anche per quello che si chiama il “trasporto meridionale di energia”, ossia il flusso dai tropici verso le latitudini superiori: dai primi, che sono luogo di intensa evaporazione, il vapor d’acqua migra verso settentrione e lì condensa buttando fuori il calore latente di evaporazione e quindi riscaldando l’atmosfera di quelle latitudini.



Sono allora da rivedere le stime del l’IPCC che, forse troppo concentrato sulla CO2, aveva sottovalutato il fenomeno?

Io penso che l’IPCC non abbia sottovalutato il ruolo del vapor d’acqua come gas serra, perché è ben nota questa sua funzione. È tuttavia difficile calcolarlo in una maniera precisa, perché il tempo di permanenza di una molecola d’acqua nell’atmosfera è relativamente breve: nel giro di una sola settimana una molecola di vapore mediamente ritorna in una fase liquida. È dunque difficile sapere quanto sia il vapor d’acqua coinvolto su scala planetaria nell’effetto serra. Una cosa molto importante è la dipendenza che c’è fra la temperatura e il contenuto di vapore che può avere una massa d’aria. È una relazione che va sotto il nome di equazione di Clapeyron: più la massa d’aria è a temperatura elevata maggiore è il contenuto di vapore di cui dispone. Se un metro cubo di aria ai Poli contiene un quantitativo stimabile nell’ordine del grammo di vapore, allora ai tropici sarà dell’ordine dei 40 grammi. Questa relazione non è lineare ma esponenziale e quindi ogni aumento di temperatura dell’aria vuol dire anche aumento del vapore d’acqua che è in circolazione, coinvolto nel suo ciclo di evaporazione-condensazione; ciò comporta più vapore e quindi più effetto serra e così via, in una preoccupante escalation.



Ci sono altri fenomeni che però possono agire da feedback negativo, interrompendo l’escalation?

Naturalmente, questo stesso aumento di vapore può portare a un incremento delle precipitazioni, che possono essere poi in “fase ghiaccio”, come abbiamo visto questo inverno. Il fatto che il vapore venga bloccato nel ghiaccio per mesi e mesi porta a un riequilibrio del ciclo perché induce un abbassamento delle temperature nelle zone montagnose. In questo senso possiamo parlare anche di un effetto di feedback negativo (che in questo caso vuol dire benefico).

In che direzione quindi conviene indirizzare le prossime ricerche per conoscere meglio il global warming?

Una è senz’altro quella di cui stiamo parlando: il ciclo dell’acqua, uno dei fenomeni più naturali della Terra, deve essere conosciuto meglio. È ovvio che noi non abbiamo in mezzo agli oceani degli strumenti – se non quando sono trasportati dalle navi – per misurare le precipitazioni; quindi abbiamo immense zone del Pianeta per le quali non disponiamo di dati e di misurazioni. Possiamo avvalerci dei dati dei satelliti, che al massimo possono darci delle stime ma non dei risultati accurati. L’altro grande campo di indagine sono le nubi. Le nubi sono al centro del sistema climatico perché hanno effetto sulla radiazione solare e quindi immediato effetto sui bilanci di radiazione. Le nubi però possono anche cambiare le proprie caratteristiche ad opera dell’uomo, essendo esse caratterizzate dalle particelle di aerosol che fanno da nuclei di goccioline e di cristalli, e gli aerosol sono influenzabili dall’uomo. Anche questo aspetto deve quindi essere considerato. Poi c’è tutta la famiglia di fenomeni che avvengono tra l’oceano e l’atmosfera, un argomento che necessita senz’altro di approfondimento. Infine c’è il tema dell’afflusso di calore che viene dall’interno della Terra. Questi sono i grandi temi della climatologia.

(A cura di Mario Gargantini)

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