«Sai, le ha dato l’anello!», ovviamente “l’anello” deve avere il brillante, magari piccolo, ma il brillante. Quest’ultimo non è altro che un diamante lavorato per riflettere la luce in modo da brillare, ma il diamante non è altro che carbonio puro, lo stesso carbonio del carbone della befana e della grafite dei lapis.
Il carbonio cristallizza in due forme: la grafite e il diamante. La prima è stabile a pressione e temperatura ambiente, il secondo solo a temperature e pressioni molto alte. La termodinamica ci dice che il diamante, nelle condizioni di temperatura e pressione in cui noi siamo in grado di vivere, tende a trasformarsi in grafite: allora il brillantino diventerà nero carbone? Niente paura, la termodinamica ci dà solo la direzione di una trasformazione spontanea, ma che rispetto alla nostra esistenza è impercettibile: i diamanti si sono formati ere geologiche fa e sono qui ancora adesso.
Le stranezze della coppia diamante e grafite non si limitano al loro aspetto esterno. Il diamante è in assoluto il materiale più duro che si conosca (durezza 10 su una scala da 1 a 10) mentre la grafite è molto morbida (durezza 1-2), per questo si usa per scrivere, il secondo è un discreto conduttore elettrico mentre il primo è fortemente isolante, il diamante ha un indice di rifrazione della luce tra i più alti e a questo si deve la sua peculiare brillantezza che crea il fascino dell’“anello”, inoltre è un ottimo conduttore del calore, migliore anche dell’argento che è considerato tra i migliori conduttori di calore; quest’ultima proprietà è talmente caratteristica che talvolta viene usata per verificare l’autenticità delle pietre.
Grazie a queste proprietà il diamante è un materiale prezioso per le sue applicazioni pratiche che superano di gran lunga quelle estetiche della gioielleria. Il principale utilizzo è correlato alla durezza che ne fa il migliore abrasivo esistente: basta ricordare che le teste di trivellazione, ad esempio dei pozzi petroliferi, sono ricoperte di granuli di diamante, non certo belli come quelli da gioielleria, ma sempre diamanti. Di diamante sono gli strumenti per fare misure ad altissime pressioni su materiali solidi, si sono raggiunte pressioni fino a quasi 300 GPa (cioè Giga Pascal, quasi tre milioni di volte la pressione atmosferica). Per questi motivi si è da lungo tempo cercato di produrre diamanti artificiali a partire dalla grafite e questo è ormai possibile dalla metà del secolo scorso.
Ma da qualche tempo l’interesse per il diamante si è spostato alle sue proprietà termiche ed elettriche che ne fanno un’ottima alternativa al silicio come supporto per circuiti integrati ad alta velocità. I circuiti integrati sviluppano tanto più calore quanto più sono veloci e con le dimensioni sempre più piccole la sua dissipazione diventa uno dei problemi principali, l’altissima conducibilità termica (più di 1800 W/(m K) contro i circa 148 W/ (m K) del silicio) rende possibile una molto più efficiente dissipazione. In conclusione, un ipotetico circuito su diamante potrebbe operare a temperature molto elevate resistendo anche a tensioni e potenze elettriche molto superiori a quelle finora possibili.
Nei primi due mesi del 2009 sono stati pubblicati su Physical Review Letter due importanti studi sul diamante.
Il primo, pubblicato da un gruppo di ricercatori di diverse università francesi, riguarda la sintesi di una fase cristallina di struttura simile al diamante in cui il contenuto di boro è il più alto finora ottenuto (BC5). È noto che drogando con boro film sottili di diamante, ottenuti per deposizione di vapore, si possono ottenere materiali semiconduttori e anche superconduttori. La nuova fase, sintetizzata alla temperatura di circa 2000 °C e alla pressione di 24 GPa, presenta, come il diamante, una bassa compressibilità, un’elevatissima durezza, anche se inferiore a quella del diamante, e un’altissima stabilità alla temperatura; a differenza del diamante puro, che come si è detto è fortemente isolante, è elettricamente conduttrice. La determinazione la struttura cristallina al variare della pressione, mediante diffrazione di raggi X, è stata possibile utilizzando la radiazione prodotta dal sincrotrone dell’European Synchrotron Radiation Facility di Grenoble.
Il secondo articolo riporta uno studio, compiuto al Lawrence Livermore National Laboratory, California, si indagano le proprietà del diamante puro ad altissime pressioni, 800 GPa, ben al di sopra di quei 300 GPa che rappresentano il limite delle apparecchiature per alta pressione costruite in diamante. L’aspetto più interessante, oltre all’eccezionalità delle misure, è il metodo con cui si sono ottenute simili pressioni. Ovviamente non si tratta di una pressione mantenuta per un tempo indefinito, come siamo portati a immaginare pensando alle situazioni quotidiane, ma di impulsi brevissimi della durata inferiore ai dieci nanosecondi. La tecnica utilizzata deriva dalle ricerche svolte per tentare di realizzare la fusione nucleare: uno dei metodi proposti per comprimere la materia incandescente ai livelli estremi, necessari per innescare la fusione, è quello del confinamento mediante fasci laser a luce ultravioletta di altissima intensità. In questo caso lo stesso tipo di laser è stato utilizzato per concentrare più fasci in una cavità in modo da eccitare l’emissione di raggi X che colpendo la superficie di una lastrina molto sottile (poche decine di micron) provocano un’onda d’urto generando la pressione citata. Il risultato è che anche a tali pressioni il diamante è stabile e resistente. Gli autori prevedono di poter arrivare a pressioni dell’ordine di migliaia di giga-Pascal, cioè confrontabili con le pressioni che si stimano all’interno dei pianeti giganti.
Oltre all’indubbio interesse dell’approfondimento della comprensione di un materiale, sempre più interessante dal punto di vista applicativo, come il diamante, i due studi mettono in mostra come tecniche sviluppate per altri scopi possono contribuire ad incrementare la conoscenza pura. C’è un’intima connessione tra sviluppo tecnologico e sviluppo della conoscenza che meriterebbe di essere indagato.