Dai cani arriverà la cura per il cancro? Stando ai giornali sembrerebbe proprio di sì. Diverso invece è il parere di chi le terapie antitumorali le studia sul serio tutti i giorni e che, di fronte all’ennesima trionfalistica notizia sulla cura del secolo, a stento trattiene un sorriso beffardo. Come quello della dottoressa Elena Caterina Monti, docente di Farmacologia all’università dell’Insubria, la quale, sebbene riconoscendo il valore della ricerca effettuata da un gruppo di ricerca dell’Ohio, è un po’ meno incline a trasmettere lo stesso entusiasmo che sembra provenire dalle colonne della carta stampata. Il caso è il seguente: a quanto pare negli Stati Uniti il cagnolino Oscar che si credeva destinato a una triste fine per colpa di una neoplasia si è di colpo ripreso grazie a un nuovo farmaco che presto sarà sperimentato, forse, anche sugli esseri umani.
Professoressa Monti, come commenta questa notizia? Le sembra una probabile nuova direzione di ricerca?
Più che probabile o improbabile direi che non è impossibile sviluppare uno studio in questa direzione, ma frenerei gli entusiasmi. Considerando il funzionamento della molecola in questione direi che una certa razionalità scientifica si può riscontrare in questo discorso. Ma attenzione: ci sono molte altri fattori da verificare e mi sembra molto improbabile che succeda quello che si legge sui giornali ossia che, dopo aver sperimentato l’uso di questo farmaco su qualche altro cane, si possa passare in tutta tranquillità a testarlo sull’uomo. Però è certo che comunque si tratta di un dato promettente e che va sicuramente investigato.
Per quale motivo allora è stato dato un simile risalto a questa ricerca?
Esiste un’empatia diffusa fra uomini e cani. Ciò fa sì che se un risultato positivo coinvolge un cane anziché un povero ratto, l’animale che viene utilizzato solitamente per la sperimentazione, l’effetto sia sentito in modo assai più emotivo dai lettori. Mi piacerebbe vedere con quanta freddezza in più si sarebbe accolta la notizia di un tumore regredito in un qualsiasi altro animale da laboratorio.
Quindi è tutto fumo e niente arrosto?
No, non dico questo. Le notizie di questo genere sono sempre incoraggianti, anche se personalmente trovo un po’ criticabile il fatto che vengano ogni volta presentate come “la soluzione al problema”. Può essere sì una soluzione, ma sempre a “una parte” del problema, in circostanze che vanno verificate e che probabilmente vale la pena che siano maggiormente approfondite. Ma approfondire significa procedere in maniera un pochino più sistematica dei metodi descritti sui quotidiani. Anche perché, prima di arrivare a fare una sperimentazione clinica sull’uomo, ci vuole qualche sicurezza in più; se non altro dal punto di vista di quello che possono essere gli effetti tossici. È vero che la vitamina B12 è un composto non tossico, però ciò che viene rilasciato, che è effettivamente la sostanza responsabile della regressione del tumore, potrebbe avere degli effetti collaterali molto gravi.
Già. Parliamo di questa sostanza, la nitrosilcobalamina. È un prodotto assolutamente nuovo o si conosceva già da un po’?
È stato sintetizzato alla fine del secolo scorso, nel 1998. È derivato dalla vitamina B12, che ovviamente è conosciutissima e studiata da molto più tempo, e la sfrutta. Sfrutta cioè il fatto di contenere questa vitamina per penetrare nelle cellule che proliferano attivamente, proprio come le cellule tumorali. Una volta penetrato rilascia questa sostanza che è un gas, una molecola piccolissima che si chiama “monossido di azoto” o “nitrossido” o “ossido di azoto”, e che scatena il proprio effetto tossico sulla cellula tumorale uccidendola. Il guaio è che nulla finora dimostra che non uccida anche le cellule sane.
Un problema serio dunque. Ci sono studi analoghi, ma un po’ più convincenti anche se non “sponsorizzati” dai media?
Ci sono studi più credibili, ma meno avanzati. Sono studi che sono stati eseguiti infatti su culture cellulari. Fondamentalmente dimostrano che questa sostanza, il nitrossido, è in grado di indurre la morte delle cellule che proliferano. Ma, come dicevo prima, le cellule che proliferano sono anche quelle, ad esempio, che danno normalmente origine agli elementi del sangue. Questo è un grosso problema che riguarda più o meno tutti gli altri farmaci antineoplasici utilizzati in chemioterapia. Questi studi sul nitrossido sono comunque abbastanza convincenti, direi anzi che sono fin troppo pochi, e sono sempre opera di questo gruppo di ricercatori dell’Ohio.
Direi però che ora come ora la prospettiva migliore che si può individuare per questi farmaci ricopre il ruolo di trattamento aggiuntivo rispetto ad altri chemioterapici. In queste suddette ricerche infatti si vede che un effetto molto positivo c’è quando si associa la nitrosilcobalamina agli antitumorali classici perché, a dosi che non sono tossiche di per sé, riescono a smantellare le difese che la cellula tumorale mette in atto nei confronti dei farmaci veri e propri. Diciamo, per farla semplice, che preparano il terreno nei confronti del farmaco chemioterapico.
In Italia esistono ricerche analoghe a questa effettuata in Ohio?
In Italia direi proprio di no, non esistono studi analoghi. Ci sono studi invece, come dappertutto nel mondo, sull’uso delle vitamine. Ma solo ed esclusivamente sulle vitamine in quanto tali, come fattori in grado di ridurre il rischio di sviluppare neoplasie. In Italia per lo più studiamo invece la realizzazione di farmaci di nuova concezione rispetto ai chemioterapici classici, ma che comunque vanno nel solco della ricerca “tradizionale”.