In questo anno mondiale dell’astronomia ricorre un altro anniversario, meno eclatante di quello delle prime osservazioni di Galileo col cannocchiale ma altrettanto importante per la scienza: 400 anni fa Giovanni Keplero pubblicava il saggio Astronomia Nova, contenente le prime due delle tre leggi relative al moto dei pianeti attorno al Sole che oggi portano il suo nome e che si studiano fin dalla scuola media. E a Keplero gli astronomi della Nasa hanno deciso di dedicare la missione che partirà domani da Cape Canaveral per un viaggio di oltre tre anni alla ricerca di possibili pianeti simili alla Terra e orbitanti attorno ad altri Soli della Via Lattea.
La dedica a Keplero, oltre che per la ricorrenza del libro e per il suo ruolo nella nascita della astrofisica moderna, è dovuta al fatto che la terza legge, da lui formulata dieci anni dopo le altre e che collega i periodi di rivoluzione dei pianeti alla loro distanza media dal Sole, sarà utilizzata dagli astrofisici americani per calcolare le dimensioni orbitali dei pianeti applicando il metodo detto del “periodo di transito”. È un procedimento abbastanza semplice da spiegare. Il passaggio di un pianeta davanti al suo Sole, osservato dalla Terra, è detto “transito”; è lo stesso fenomeno che occasionalmente possiamo osservare quando un puntino nero sporca lo splendente disco solare rivelando il passaggio di Venere o Mercurio tra noi e il Sole. Kepler individuerà il passaggio di un pianeta misurando l’indebolimento della luce della stella; dopo di che calcolerà le dimensioni del pianeta e della stella e, dalla temperatura di quest’ultima risalirà a quella del pianeta, cioè a un parametro fondamentale per stabilirne l’eventuale abitabilità.
Se il metodo è facilmente spiegabile, non altrettanto lo è la sua traduzione tecnologica. Per questo il satellite Kepler sarà equipaggiato con una strumentazione da capogiro: un fotometro, cioè uno speciale telescopio con un campo visivo particolarmente ampio e un set di sensori digitali CCD con una capacità risolutiva di 95 Megapixel (sei volte maggiore di qualunque macchina fotografica professionale). La sua sensibilità sarà tale da permettergli di misurare variazioni di luminosità di venti parti su un milione; come ha dichiarato, con una certa enfasi uno dei responsabili della missione, James Fanson del JPL di Pasadena: «se Kepler puntasse il suo sguardo su una cittadina terrestre di notte, riuscirebbe a individuare l’abbassamento di luminosità di un balcone illuminato quando una persona gli passasse davanti».
Con queste potenzialità, Kepler andrà a esplorare per un tempo prolungato più di 100.000 stelle nella regione Cigno-Lira della nostra galassia: una zona appartenente a quella, in verità non molto estesa, striscia della Via Lattea che gli astrofisici hanno denominato Galactic Habitable Zone (GHZ), convinti che solo lì ci possa essere quel delicato equilibrio di condizioni, in primis la presenza di acqua allo stato liquido, tale da consentire il mantenimento della vita; o, per essere più precisi, da non precluderlo.
Le rilevazioni di Kepler saranno poi completate, almeno per i pianeti più grandi, da quelle dei telescopi terrestri e dei telescopi spaziali: il veterano Hubble e lo Spitzer , specializzato in osservazioni nell’infrarosso.
L’atmosfera tra gli astrofisici è ovviamente di eccitazione: si aspettano di trovare centinaia di pianeti di taglia terrestre o anche più grandi, a varie distanze dalla loro stella madre: «Se nella GHZ – dicono alla Nasa – i pianeti di dimensioni terrestri sono comuni, Kepler potrebbe trovarne alcune dozzine; se sono rari, potrebbe non trovarne nessuno».