Il giorno 18 febbraio 2009 è stato significativo per la scienza italiana. Per la prima volta sul nostro territorio un supermicroscopio ha effettuato diverse fotografie a molecole, virus e altri materiali dalle dimensioni infinitesimali. A partire da un’idea concepita da un team di scienziati italiani negli anni ottanta, si è giunti oggi alla realizzazione del secondo microscopio su territorio europeo, dopo quello di Amburgo, “a laser”. SPARC, questo il nome dello strumento, è stato costruito a partire dal 2004 a Frascati, presso i laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). Lungo 35 metri, è in grado di restituire immagini di fenomeni biochimici in movimento. Abbiamo chiesto a Luigi Palumbo, professore dell’INFN e capo dell’equipe che lavora sul microscopio, di spiegarci l’importanza scientifica di questo strumento.
Professor Palumbo, che cos’è esattamente il microscopio SPARC?
Questo microscopio non è altro che un laser di nuova tecnologia, ovvero laser a elettroni liberi (FEL, Free Electron Laser). La sua realizzazione segue un filone che da qualche anno si sta sviluppando nel nostro Paese e nel mondo e che ha preso il via dall’intuizione di un gruppo di ricercatori italiani formatosi negli anni ’80. Lo SPARC è il secondo microscopio di questo tipo ad essere entrato in funzione in Europa, dopo il FLASH di Amburgo.
Come funziona?
Si utilizza la radiazione generata da un pacchetto di elettroni che oscillano in un campo magnetico, esattamente come avviene per un telefonino cellulare in cui milioni di elettroni oscillano su un’antenna emettendo radiazioni. Ma qui la differenza consiste nell’elaborazione del pacchetto di elettroni, circa una decina di miliardi, che vengono collocati in uno spazio di pochi millimetri. Una volta ordinati all’interno di questo spazio, vengono fatti entrare in una struttura magnetica alternata da poli positivi e negativi che produce su di essi un effetto di oscillazione. Tale effetto fa sì che oscillando gli elettroni si organizzino perfettamente mettendosi a emettere radiazioni in una modalità che in gergo scientifico chiamiamo “fase coerente”. In poche parole, le radiazioni emesse si “unificano” sommandosi e producendo una quantità di energia molto intensa. Se, per esempio, pensiamo a una lampadina abbiamo anche qui un fenomeno di radiazioni emesse, quelle della luce: ma si tratta di radiazioni sparse in ogni direzione, e tale dispersione fa sì che ad ogni elettrone corrisponde la rispettiva quantità di energia. In questo caso invece, grazie all’ordine prodotto dalla fase coerente, riusciamo a ottenere una quantità di energia che è proporzionale al quadrato del numero di elettroni utilizzati, insomma molto più intensa.
Che cosa implica questa maggiore intensità di energia di cui parla?
Maggiore è l’intensità di questa radiazione, più specifico sarà il dettaglio dell’oggetto che va a colpire. L’idea è quella di realizzare una radiazione che abbia una risoluzione spaziale e temporale in grado di vedere oggetti molto piccoli e fenomeni che hanno una durata temporale molto breve.
La dimensione dell’oggetto che si può vedere dipende dalla lunghezza d’onda con la quale vengono fatti oscillare gli elettroni. Per farci capire il principio è lo stesso dei pixel di una macchina fotografica elettronica: più piccoli e numerosi sono i pixel maggiormente la foto risulterà nitida e dettagliata.
Fino a quanto può ingrandire questo microscopio?
Si può giungere a dimensioni spaziali che vanno nell’ordine di un miliardesimo di metro o decimiliardesimo di metro, grandezza, quest’ultima, dell’atomo.
È dunque possibile osservare le molecole mentre si associano e si dissociano, individuandone la struttura atomica. L’obiettivo fondamentale è quello di vedere come atomi e molecole si comportano nei processi fisici e chimici.
È quindi uno strumento più efficace del microscopio elettronico
Certamente, ma non tanto per l’ingrandimento ottenuto, che è di poco maggiore, quanto per la capacità dello SPARC di poter fotografare il movimento delle molecole.
Nel microscopio elettronico infatti una “pioggia” di elettroni colpisce oggetti di dimensioni infinitesimali ma totalmente immobili, praticamente cristallizzati.
Con questo strumento invece possiamo accedere alla cosiddetta Ultra Fast Science, la scienza dell’ultraveloce.
Può spiegarci meglio quest’ultimo aspetto?
Oltre ad avere la capacità di osservare molecole estremamente piccole, dovendo fotografarne anche il movimento, questo microscopio ha bisogno di tempi di otturazione molto brevi, un lampo di luce di radiazione che deve essere talmente rapido da potere osservare quella struttura molecolare come se fosse ferma. Quindi l’altro aspetto peculiare, forse il più importante, è che l’impulso di radiazione che viene generato può essere reso estremamente breve per fotografare dei fenomeni veloci. Le dimensioni temporali di questa radiazione sono nell’ordine di 10-12 secondi, un millesimo di miliardesimo di secondo circa. Grazie a questa tecnica è dunque possibile fotografare le molecole, osservarne i dettagli spaziali e cogliere la loro dinamica.
Lei prima parlava di un ingrandimento in grado di giungere alle dimensioni di un atomo. Sarà dunque possibile vedere direttamente gli atomi?
Parliamoci chiaro, non è che questo microscopio fotografi gli atomi, è attualmente impossibile. Teniamo conto che la parte più “visibile” di un atomo sarebbe il nucleo che ha però dimensioni di 10-18 metri. Ciò che si riesce a vedere sono i campi in cui si muovono gli elettroni e la struttura delle molecole. Ma ciò detto, anche queste non sono immagini dirette.
Le radiazioni di cui parlavamo, arrivando sulla molecola vengono rifratte, deviate. La loro deviazione dipende dalla struttura dell’oggetto colpito, la figura della rifrazione viene analizzata mediante un metodo di modellistica matematica che ripropone la ricostruzione del campione rifrangente. È come se vedessimo un’ombra e da questa fossimo in grado di ricostruire perfettamente l’oggetto che la proietta. Dal momento che di questo prendiamo numerose rifrazioni, siamo anche in grado di ricostruirne un’immagine tridimensionale.
Si tratta di un’invenzione totalmente italiana?
Questi tipi di laser a elettroni liberi a singolo passaggio, basati su acceleratori lineari, sono stati elaborati da alcuni pionieri italiani: i professori Renieri, Pellegrini e Bonifacio, negli anni ’80. Il primo esperimento non è stato però eseguito in Italia, difatti i primi microscopi vennero costruiti negli Stati Uniti e lo SPARC, come si è detto è il secondo che va in funzione in Europa. Si è trattato di un progetto che ha visto la virtuosa collaborazione di enti come il MIUR, il CNR, ENEA, l’INFN e diverse università nazionali come quelle di Milano, Roma, Lecce e Padova.
Quali applicazioni potranno avere le scoperte effettuate dallo SPARC?
In primo luogo favorirà la ricerca chimica e farmacologica. Se oggi si intende realizzare un nuovo farmaco lo studio che precede consiste nell’associazione delle componenti e nell’analisi del risultato finale. SPARC è uno strumento che può consentire di andare a controllare direttamente che cosa accade alle molecole durante l’associazione. In questo senso è davvero rivoluzionario. Potrà analizzare virus, particelle, materiali. Un’applicazione multidisciplinare dunque.