Non ci sono solo celebrazioni e dibattiti in questo anno darwiniano: ci sono anche scoperte, risultati di ricerche, nuove ipotesi esplicative del fenomeno dell’evoluzione. Come è accaduto, ad esempio, nei laboratori del Department of Biosystems Science and Engineering del celebre ateneo ETH di Zurigo dove opera l’equipe di Renato Paro, professore di biosistemi. Il gruppo è impegnato a condurre esperimenti nei quali dei moscerini vengono incrociati per sei generazioni e sottoposti a diverse condizioni ambientali per verificare l’effetto di queste ultime sull’ereditarietà. Si parte da un ceppo di Drosophila melanogaster – il moscerino della frutta che ha fatto la fortuna sia della genetica classica che di quella moderna – che ha gli occhi bianchi. Se la temperatura alla quale sono allevati gli embrioni (di norma 25 °C) è portata per breve tempo a 37 °C, i moscerini che si sviluppano hanno gli occhi rossi. E non basta. I figli di questi moscerini hanno anch’essi gli occhi rossi.



«Sembra di rivedere Lamarck, vivo e vegeto: – così commenta la notizia Carlo Soave, docente di fisiologia vegetale all’università degli studi di Milano – un carattere indotto da una modificazione ambientale viene trasmesso alla progenie. Siamo di fronte al fenomeno dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti». Si tratta di un’eventualità proibita dal darwinismo classico. Ma non è tutto: il gene, cioè il DNA, che codifica per il fattore “colore degli occhi” è rimasto tale e quale come era nei moscerini con gli occhi bianchi. Cosa è cambiato allora e come questo cambiamento si trasmette alla progenie?



«Quello che cambia è ciò che sta intorno al DNA, le proteine che lo avvolgono, in aggiunta a metilazioni reversibili di alcune basi del DNA: in una parola, è quello che oggi si definisce un cambiamento epigenetico». Questo termine, epigenetico, sta diventando di grande attualità in biologia: con esso si indicano quei caratteri dei viventi che non hanno un corrispettivo di tipo genetico, quel set di informazioni che non si trovano nelle sequenze del DNA. Fino a qualche tempo fa l’informazione epigenetica poteva essere studiata in modo solo descrittivo; oggi invece è possibile individuare quali strutture molecolari vi sono implicate. Si è visto che un ruolo importante è svolto proprio dai componenti che circondano il DNA, denominati istoni, e che agiscono come una sorta di packaging, necessario per immagazzinare il DNA in una forma ordinata e con occupazione di spazio ottimizzata. Si tratta di proteine che hanno anche ulteriori funzioni: a seconda della loro natura chimica, cioè se sono acetilate o metilate, esse possono attivare o disattivare i geni. Nuovi metodi di indagine riescono ora a rivelare direttamente quali geni sono stati attivati o disattivati dagli istoni. 



«In fondo non c’è nulla di sostanzialmente nuovo: anche una cellula di pelle è diversa da una cellula di fegato anche se hanno lo stesso identico DNA; le cellule però sono diverse per le loro marcature epigenetiche e queste marcature specifiche sono trasmesse alle cellule figlie: una cellula di fegato produce cellule di fegato e una di pelle, cellule di pelle. Quindi le marcature epigenetiche sono trasmissibili. Inoltre gli organismi viventi si adattano durante la loro vita ai cambiamenti ambientali e gli adattamenti si ottengono tramite modificazioni epigenetiche. L’esperimento del gruppo di Zurigo, insieme a numerosi analoghi esperimenti precedenti, dimostra che modificazioni epigenetiche indotte dall’ambiente sono trasmissibili alla progenie e sono stabili, cioè si mantengono nelle generazioni future anche in assenza della condizione ambientale che le ha indotte».

Ma tutto ciò colpisce al cuore la teoria neodarwiniana? Paro si è affrettato a dichiarare che la teoria di Darwin non è messa in discussione, che siamo di fronte solo ad aspetti complementari e che i meccanismi evolutivi sono i medesimi sia nel caso di caratteri generati e trasmessi per via epigenetica che per quelli di origine genetica. Soave tuttavia si mostra più critico. «In fondo cosa c’è di diverso tra una mutazione genetica classica (come quelle indotte dai raggi X) e una mutazione epigenetica, un’epimutazione? Una differenza importante c’è: è che una particolare situazione ambientale induce in molti individui sempre la stessa epimutazione e quindi i contesti ambientali hanno un ruolo non marginale nell’evoluzione; mentre le mutazioni classiche sono casuali, indipendenti da ciò che la situazione ambientale richiede e diverse in ciascun individuo. Tutto ciò fa vacillare uno dei pilastri della teoria neodarwiniana dell’evoluzione».