Qualche tempo fa era tornata alla ribalta una proposta avanzata nel 2006 dal premio Nobel Paul Crutzen, che a sua volta riprendeva un’idea del fisico russo Mikhail Budyko di trent’anni prima: entrambi prospettavano la soluzione radicale del problema del riscaldamento globale ottenuta avvolgendo il Pianeta con uno strato di anidride solforosa (ovvero biossido di zolfo, SO2) dopo aver sparato zolfo nella stratosfera. Budyko pensava di “sprayarlo” da un Boeing 747, Crutzen preferiva ricorrere ai palloni aerostatici, ma il risultato era lo stesso: attivare reazioni chimiche con vapor acqueo e altre sostanze per produrre SO2 e poi particelle di solfati in grado di respingere la radiazione solare e ridurre la temperatura atmosferica. L’idea era stata prontamente liquidata come irrealistica e pericolosa dalla stragrande maggioranza dei commentatori scientifici. Ma nei giorni scorsi il progetto è stato rilanciato da Newsweek, che gli ha dedicato una copertina e ha rivelato che non solo Crutzen ma anche un altro premio Nobel, Thomas Schelling, ci stanno studiando da tempo mentre altre realtà scientifiche si stanno mobilitando. Pare che la britannica Royal Society abbia preso in considerazione l’ipotesi, mentre le National Academies of Science Usa ne hanno dibattuto in un recente convegno e per il prossimo giugno è in programma un meeting per approfondire i particolari del progetto.



La proposta di immettere zolfo in atmosfera può essere suggestiva, basandosi sull’analogia con quanto avviene a seguito delle grandi eruzioni vulcaniche, come quella gigantesca del Piantubo (Filippine) che nel giugno 1991 buttò in atmosfera la bellezza di 20 milioni di tonnellate di biossido di zolfo. Nei piani di Crutzen ne servirebbe molto meno per ottenere l’effetto desiderato.



Sull’argomento abbiamo interpellato Ferruccio Trifirò, uno dei più affermati chimici italiani, Preside della Facoltà di Chimica Industriale dell’Università degli Studi di Bologna, con una vasta esperienza internazionale e da oltre dieci anni direttore della rivista La Chimica e l’Industria, organo ufficiale della Società Chimica Italiana.

Dal punto di vista strettamente scientifico, c’è qualche elemento positivo in questa idea?

L’idea di immettere qualcosa nella atmosfera per controllare l’aumento della temperatura non è nuova. In passato si è anche valutato che la presenza di particolato potesse contribuire a diminuire la quantità di radiazione solare che penetra nell’atmosfera e quindi contribuire a ridurre l’aumento della temperatura. Ciò era sempre legato alla constatazione che le eruzioni vulcaniche, con le loro emissioni di particolato e ossidi di zolfo, hanno portato a una parziale e temporanea diminuzione della temperatura media globale.



I solfati hanno davvero questo potere riflettente e ciò funzionerebbe anche nel contesto della stratosfera terrestre?

Come ho detto, è noto da molto tempo l’effetto dei solfati sulla diminuzione del riscaldamento della Terra, ma gli effetti negativi sono largamente superiori a quelli positivi. L’utilizzo di anidride solforosa in grandi quantità è particolarmente problematico in quanto essa può facilmente reagire con l’ozono, distuggendolo e ossidandosi a triossido di zolfo. Quest’ultimo, comporta la formazione di piogge acide che come dimostrato danneggiano le piante, la vita acquifera e i monumenti. Inoltre, a livello atmosferico, partecipano ai cicli responsabili dello smog. Quindi introdurre zolfo nell’atmosfera deliberatamente provocherebbe danni notevolmente maggiori dei possibili vantaggi.

Come si può stimare la diminuzione di temperatura conseguente?

La stima non è possibile in quanto ovviamente dipende da molteplici fattori. E comunque ribadisco il fatto che tutti gli aspetti critici relativi a soluzioni di questo tipo sono noti da 10-15 anni ed è scientificamente dimostrato che proposte del genere sono dannose. Per questo, la legislazione ha posto da tempo limiti severi sulle emissioni di zolfo. Qui non si tratta di un’opinione personale, ma di fatti ampiamente dimostrati da anni. Basta leggere la letteratura in merito.

Quali potrebbero essere le difficoltà tecniche realizzative e quali i principali limiti?

Non vi sono essenzialmente difficoltà tecniche. Il problema è che si tratta di proposte che sembrano non considerare adeguatamente la complessità dei problemi; le soluzioni prospettate sono apparentemente semplici, ma la loro applicazione risulterebbero molto critica: basta pensare alla difficoltà di tenere sotto controllo un fenomeno globale di quelle proporzioni.

Adesso anche Newsweek ha rilanciato l’idea. Perché insistono, secondo lei, nonostante la pioggia di critiche?

Pensi che vi sono tuttora al mondo numerosi scienziati che insistono nel negare le teorie evoluzionistiche: su questo c’è addirittura un congresso annuale a cui partecipano oltre mille scienziati. Ma in un sistema globale, per fortuna, sopravvivono nel lungo tempo solo le idee effettivamente scientifiche. Quindi non sorprende che possano essere avanzate idee non scientifiche e che possano essere rilanciate anche da giornali prestigiosi; ma alla lunga non sopravvivono. Nel caso specifico, gli elementi problematici sono noti da tempo; ma si sa che l’uomo tende facilmente a dimenticare.

Quale invece la strategia più realistica per contrastare il riscaldamento globale?

A mio parere vi è un’unica strategia realistica: risparmiare nei consumi e aumentare l’efficienza energetica dei processi, sia quelli produttivi che tutti quelli che regolano la vita delle sociale e personale. Contemporaneamente bisogna sviluppare tecnologie che consentano di utilizzare energia ottenuta da fonti rinnovabili.

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