Il professor Massimo Clementi, primario di Virologia presso l’ospedale San Raffaele di Milano, sdrammatizza gli allarmi che in queste ore rimbalzano sui media. «La diffusione ci sarà» dice, ma probabilmente non così pericolosa come si tende a credere
Professore qual è la situazione in Europa dove sembra che la febbre suina abbia iniziato a far registrare qualche caso di contagio?
Per capire quanto sta accadendo in Europa occorre partire da quello che è successo in Messico prima e negli Stati Uniti poi. L’evento in sé non è per nulla un evento strano. La Comunità Scientifica sa benissimo che esistono alcuni virus influenzali che possono provenire dagli animali e, in particolare delle specie aviarie. Da queste ultime per esempio derivano tutti i virus influenzali di tipo “A”. Ma ci sono specie di virus che appunto derivano e anche da animali come il maiale, il cavallo, e via dicendo, che possono, mutando il proprio ceppo, infettare l’uomo. Ora, a fronte di un contatto diretto con un animale malato possono accadere due fenomeni distinti: l’infezione si può fermare lì, e si genera quella che viene definita “zoonosi” cioè l’infezione di un singolo uomo da parte di un microrganismo proveniente da un animale; oppure il microrganismo si può adattare all’uomo e diffondersi ad altri esseri umani. Con i virus influenzali questo è possibile, anzi frequente. Insomma questo è ciò che è avvenuto in Messico. È inevitabile che a fronte di queste premesse qualche infezione si propagasse anche nel nostro Continente. La situazione però, a differenza del focolaio di origine, è assai meglio monitorata.
Che differenze ci sono con l’aviaria?
Nel caso dell’aviaria il passaggio “da animale a uomo” non venne, fortunatamente, seguito da un efficiente passaggio “da uomo a uomo”. In questo caso invece ciò è avvenuto. Questo, ovviamente, dal focolaio iniziale che si è generato in Messico. Con tutta probabilità l’epidemia inizialmente non è stata controllata bene e ciò ha fatto sì che il virus si trasmettesse in altri Paesi.
C’è quindi da preoccuparsi per un imminente arrivo di questo virus anche in Italia?
È probabile che qualche caso ci sarà, ma devo precisare una cosa. Nei casi che hanno seguito gli episodi in Messico la gravità clinica è sembrata essere relativamente modesta, paragonabile cioè a quella di un’influenza normale. Negli Stati Uniti finora non si è verificato nemmeno un decesso.
Questo fatto sta portando la comunità scientifica a porsi una domanda: il virus, dopo il primo salto all’uomo, ha attenuato il suo potenziale patogeno?
Perché, è un fenomeno che può verificarsi?
Assolutamente, è una cosa che può succedere e che anzi succede frequentemente. È possibile che i virus degli animali abbiano una “forza” maggiore di quelli adattati nel nostro organismo. Più o meno potrebbe avvenire quanto è successo con la SARS, sebbene anche in quel caso il virus non si fosse mai veramente adattato all’uomo. Comunque l’idea è che con l’adattamento, e con il continuo passaggio da individuo a individuo, la malattia si depotenzi.
Una volta innescatosi questo processo di “depotenziamento” è sicuro che la virulenza andrà spegnendosi?
No. C’è un’illustre eccezione: la famosa “Spagnola”. All’epoca l’epidemia sembrava in un primo momento attenuarsi, ma dopo qualche mese si ripresentò con una particolare aggressività patologica che portò alla morte di milioni di persone in tutto il mondo. Proprio per questo, nonostante le apparenze ottimistiche, è bene che l’OMS continui a monitorare questo virus.
Lei ha detto che ora come ora l’influenza suina si presenta come un’influenza normale. Con quale criterio allora la si può riconoscere?
L’influenza è una di quelle malattie che si manifestano in maniera aspecifica. L’unico motivo per capire che si tratta di una “novità” è se i sintomi sopraggiungono in un periodo “fuori stagione”. Ovviamente si tratta solo di un sospetto. Per avere la conferma che un paziente sia affetto da febbre suina occorre fare su di lui l’analisi del virus.
Lei comunque sostiene che ci sia molto di cui preoccuparsi per il momento?
Per come si stanno evolvendo le cose assolutamente no. Ripeto che non si può avere la previsione certa, ci mancherebbe. È probabile che il virus in Europa si diffonda maggiormente di quanto non sia diffuso adesso. Ciononostante tutti i nuovi casi finora registrati non sembrano presentare sintomi da infezione grave, quindi direi che sì, per il momento, non ha senso allarmarsi.