L’avventura matematica di Enrico Bombieri è iniziata presto: «ho ritrovato un quaderno della terza elementare con i rapporti della maestra in cui era scritto: “molto bene in tutte le materie e in condotta. Scarso in aritmetica”». Niente male come incipit per un docente della School of Mathematics presso l’Institute for Advanced Study a Princeton; uno che si occupa di teoria dei numeri, superfici minime, analisi complessa, equazioni differenziali alle derivate parziali e che per le sue ricerche ha ricevuto nel 1974 la medaglia Fields (il maggior riconoscimento per un matematico). Per fortuna dalla quarta elementare, con lo studio della geometria euclidea le cose hanno cominciato ad andare meglio. Anche il padre era interessato alla matematica e stimolava la curiosità del figlio con vari libri: Bombieri ricorda ancora che quasi per gioco ha cominciato a svolgere gli Esercizi e complementi di analisi matematica, trovandolo estremamente divertente. Il padre discuteva molto con lui e aveva anche organizzato una visita a Zurigo dal celebre fisico Wolfgang Pauli; ma il piccolo Enrico non sapeva di fisica bensì di matematica e si indirizzò verso altri riferimenti. A Milano l’incontro con un vero maestro, il professor Giovanni Ricci, che prima lo incontra a casa poi lo invita a una corrispondenza scientifica, da cui nascerà il primo lavoro di Bombieri a soli 17 anni sulle equazioni diofantee (equazioni in una o più variabili con coefficienti interi di cui si ricercano le soluzioni intere). Infine lo accoglie in università, consigliandolo, incoraggiandolo («se non impari l’analisi complessa sarai sempre un dilettante»), fornendogli libero accesso alla biblioteca di Matematica affidandogli le chiavi per permettergli di scorazzare indisturbato perché «fondamentale è leggere ed aggiornarsi». Ricci lo manderà a Cambridge a incontrare Harold Davenport e a Parigi da Jean Pierre Serre. Altri incontri significativi, altri maestri saranno Aldo Andreotti e soprattutto Ennio de Giorgi, «eccezionale e generosissimo».



Incontriamo Bombieri al Dipartimento di Matematica dell’università degli studi di Milano, lo stesso dove lui ha studiato, dove ha accettato di partecipare al primo di una serie di incontri organizzati da Obiettivo Studenti dal titolo L’avventura della ricerca matematica; verso dove?. Prima dell’incontro scambiamo due chiacchiere con la moglie: «mi aveva detto che doveva incontrarsi con qualche studente: non immaginavo tutta questa folla…ma in effetti spesso dimentico che fuori dalle mura domestiche è un personaggio famoso!». Ci sono infatti più di 400 persone tra studenti e professori nell’aula “Chisini” del Dipartimento. Bombieri, visibilmente stupito, ammette «difficile cominciare con un pubblico così» e inizia domandandosi: «Ma cos’è la matematica?» e ancora «Come parlare di matematica a un pubblico non specialista?». La matematica come «grammatica della misura e dell’ordine» poteva andar bene per la geometria o l’astronomia, ma è una definizione che ormai va stretta e non riesce ad abbracciare i molteplici sviluppi di questa scienza. Per lui la matematica è innanzitutto «lo studio delle relazioni tra oggetti diversi». La matematica utilizza il linguaggio della logica per descrivere queste relazioni e per andare a fondo della struttura di queste relazioni che hanno come esito il potere di astrazione e quindi il potere di sintesi propri della matematica stessa. Il linguaggio della matematica è diventato il linguaggio di base della scienza.



È sorprendente sentire parlare un “teorico dei numeri” di ricerca matematica, come caratterizzata da lunghi periodi di raccolta e osservazione dei dati, fin quando un’intuizione non sintetizza il lungo lavoro fatto e permette di fare un balzo avanti. Ancora la matematica è stabile nel senso che le scoperte della matematica non temono il tempo: la geometria euclidea era vera ai tempi di Euclide come oggi. Certo, sottolinea Bombieri, non bisogna pensare alla ricerca matematica come un arido susseguirsi di passaggi logici, occorre a volte immaginare cosa suggeriscono i dati e i risultati a disposizione. Fantasia e immaginazione: ecco due qualità che Bombieri ritiene necessarie per lavorare in matematica; e poi una forte curiosità, il desiderio di sapere come vanno realmente le cose. Al contrario, per Bombieri, un ostacolo è rappresentato dal voler dimostrare solo quanto si è bravi; serve una certa umiltà per fare i passi migliori, per capire la radice profonda di certi ostacoli, di certi problemi.



Le domande degli studenti a questo punto si susseguono: come affrontare le difficoltà dello studio? Che valore ha lo studio della matematica anche nei periodi di aridità, quando si percepisce di essere molto lontani dalla soluzione del problema? Persino una matricola prende coraggio e chiede: la matematica mi sembra una materia poco umana, che cosa la attrae? Perché ha deciso di spenderci la vita? «All’inizio è arida, è un linguaggio» e aggiunge che è come imparare a scrivere dal sillabario. All’inizio non è divertente riempire pagine di sillabe. Pian piano però uno scopre i romanzi, le poesie. «Ho dovuto imparare anche interi canti di Dante a memoria» per scoprire che ne valeva la pena. «La matematica è un linguaggio, è il linguaggio della razionalità e della logica. Non è tutto, ma non possiamo fare a meno di questo linguaggio. La strada è dura e faticosa prima di arrivare a un certo livello… ad amarla».

«Professore, qual è allora, secondo lei il rapporto tra una verità scientifica (matematica, fisica, ecc.), quindi una verità parziale e provvisoria, e il nostro bisogno umano, profondo, di una verità ultima, di una verità come destino?» Qui Bombieri sorride quasi scusandosi, comincia a parlare di cosa significhi verità in matematica (ha persino scritto due articoli sull’infinito in matematica). Non si deve confondere verità con dimostrabilità: esistono teoremi in matematica che sono veri ma non dimostrabili. Si può dare definizione di verità in un modello matematico? No. È necessario ampliare il modello e in questo rispondere. Cita l’esempio dell’ipotesi del continuo di Cantor, che riguarda le varie scale di infiniti di insiemi di numeri: in alcuni modelli può essere vera in altri no. Ma allora non c’e’ una verità assoluta? Bombieri è convinto di sì. «Qui si va ad un livello che riguarda la metafisica, la religione», la domanda sulla verità assoluta non può essere sciolta senza ampliare l’orizzonte, come in matematica è necessario che il modello venga ampliato. Ma ora per far questo non possiamo contare solo sulle nostre forze o su una nostra capacità «questa verità non la possiamo raggiungere da soli: l’unico modo di raggiungerla è che ci raggiunga lei». Noi, sembra suggerirci Bombieri, siamo chiamati a «fare questo passo: accettarla».

Il tempo stringe, è stato un incontro vero: grazie Professore.

(Marta Calanchi)