La Corte Costituzionale ha respinto alcuni punti della legge sulla fecondazione assistita, creando scompiglio in parlamento, gioia fra i radicali e, a quanto pare, non poche perplessità da parte di chi nel settore lavora quotidianamente. Sembra infatti che coesistano alcuni conflitti fra le modifiche imposte dalla Consulta e l’impianto generale della normativa. Abbiamo chiesto alla professoressa Eleonora Porcu, docente di ginecologia all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna, nonché voce pubblica autorevole proprio in seno al dibattito sulla legge 40, di spiegarci quali aspetti verranno modificati concretamente nella pratica della fecondazione
Professoressa Porcu, dopo la bocciatura da parte della Consulta ad alcuni commi della legge 40 che cosa cambia sostanzialmente nella pratica della fecondazione assistita?
Francamente non lo so. Nel senso che ciò che sembra emergere, almeno dalla mia valutazione di tali modifiche, è una grande conflittualità tra il “messaggio” di questi cambiamenti effettuati dalla Corte Costituzionale e il resto dell’impianto della legge che è rimasto del tutto invariato.
Quindi, per fare un esempio, direi che sono un po’ sconcertata dal fatto che da un lato vengano eliminati il limite del numero di embrioni da generare e l’obbligo di trasferirli tutti in un’unica volta in utero, dall’altra parte però rimane il divieto di congelare gli embrioni o di disfarsene.
Quindi a questo punto se da una parte togliere un limite può voler dire generare anche eventualmente anche embrioni soprannumerari, perché si badi bene, questa è un’ipotesi concreta, dell’altra parte rimane l’interrogativo su che cosa farne su questi embrioni soprannumerari visto che è proibito distruggerli o congelarli.
Dalle linee generali al quotidiano. Per lei, operatrice sul campo in quanto medico ginecologo, da domani che cosa muterà?
La mia impressione da operatore è che, anche solo mantenendoci su un piano tecnico, il mio lavoro sarà ammantato maggiormente dal dubbio deontologico. Non mi sembra, infatti, che le indicazioni che emergono dal complesso della legge, così come si configura da oggi con questi ritocchi, siano univoche, siano chiare. Un operatore a questo punto cosa deve fare? Deve interpretare personalmente la legge? Dio mio, spero proprio di no!
Finora, sinceramente, ho applicato la legge 40, da quando è stata formulata, con molta certezza e tranquillità, attraverso le sue direttive molto che erano molto chiare e molto esplicite. Ho sempre cercato di lavorare con questa normativa per il bene dell’embrione e per il bene della paziente, della donna. A questo punto non so davvero bene quali scelte concrete si debbano e si possano operare nel rispetto e nell’integralità della legge.
Come ha funzionato fino a ieri la legge 40? A suo avviso, prima di queste modifiche e al di là della maggiore chiarezza, si trattava di una buona normativa,?
Le posso dire la mia esperienza, ovviamente da medico e non da giurista, di fronte ad una legge dello Stato. Ho ritenuto che andasse applicata cercando di dedicare tutte le mie risorse scientifiche e professionali per far sì che dagli interventi medici e tecnici risultasse clinicamente il miglior vantaggio possibile per l’embrione e per la madre. Di fatto, valutando caso per caso singolarmente la applicabilità della legge e quindi non facendone un discorso generale ma cambiando l’operatività di persona in persona, i risultati riscontrati sono stati positivi. Il numero di gravidanze col passare del tempo nei miei casi è aumentato progressivamente e, adottando alcune strategie come quella di inseminare addirittura meno ovociti di quelli massimi previsti dalla legge, sono riuscita a contenere più o meno nelle statistiche europee la percentuale di gravidanze trigemine.
Quindi tutto sommato la reputa una buona legge
Per me si è trattato di un sistema che ha garantito quasi perfettamente il rispetto dei soggetti coinvolti. Ovviamente per fare un buon lavoro occorreva una grande dedizione di forze, energie e di inventività su come potesse essere applicata al meglio la strategia connessa ai parametri legali per non nuocere alla salute della paziente e non compromettere nessuno dei soggetti coinvolti.
Come si inquadra il nuovo assetto dato alla legge 40 dalla decisione della Corte Costituzionale sul versante delle diagnosi preimpianto, altro tema da lungo oggetto di dibattito?
Ecco, qui il discorso si fa più “remoto”. Nella legge, di fatto, anche dopo le modifiche delle linee guida ad opera dello scorso Ministro della Salute, rimane irrisolto un aspetto dipendente da due elementi. È un problema che precede le modifiche portate dalla Consulta, e che quest’ultime non sono servite a cambiare. Da un lato infatti non c’è la proibizione della diagnosi in preimpianto, d’altra parte è chiaramente reso esplicito, giustamente, per legge il fatto che tale diagnosi non debba essere eseguita, a scopo eugenetico. A questo punto però nessuno ha definito, per lo meno legalmente, che cos’è da considerarsi “eugenetica”. Anche in questo caso per coloro che effettuano la diagnosi preimpianto direi che diviene particolarmente difficile stabilire sotto questo frangente che cosa sia legittimo o illegittimo. Come si fa infatti a consigliare l’eliminazione di un embrione in quanto portatore di una malattia e contemporaneamente affermare che tale scelta non sia già a tutti gli effetti “eugenetica”?