Il nome reca impressa la data della scoperta: 09 (anno), 04 (mese), 23 (giorno); ed è quello di un’enorme stella che ha battuto il record del corpo celeste più lontano finora scoperto dall’uomo, distante circa 13 miliardi di anni luce, cioè molto vicino al Big Bang. In verità la sua denominazione completa è GRB 090423, dove la sigla sta per Gamma Ray Burst ovvero Lampo di Raggi Gamma, un tipo di fenomeno astronomico improvviso che si verifica nella fase finale della vita di una stella e rappresenta uno dei problemi di frontiera più affascinanti dell’astrofisica attuale.



Se si vogliono indicare con maggior precisione i contorni dell’evento cosmico, bisogna aggiungere l’ora, le 10 di mattina ora italiana, e la durata: 10 secondi, indice di un fenomeno probabilmente catastrofico ed estremamente energetico; gli astrofisici hanno calcolato che in pochi istanti è stata emessa cento volte più energia di quanta ne produca il Sole nella sua intera esistenza di nove miliardi di anni.



Al lampo gamma è seguita una forte emissione di raggi X e ciò ha permesso al satellite SWIFT e all’Osservatorio di Brera-Milano dell’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) di localizzare la zona da dove è partito il lampo. Poi sono entrati in campo i telescopi terrestri, tra cui il nostro Telescopio Nazionale Galileo (TNG), e si è messa in azione la rete di astrofisici CIBO (Consorzio Italiano Burst Ottici) che da oltre dieci anni è impegnata a seguire e studiare questi fenomeni. Così, dopo una notte passata a elaborare i dati nella sede di Merate dell’Osservatorio di Brera-Milano, alle prime luci dell’alba del 24 aprile è apparso evidente che le misure raccolte dal TNG rivelavano un risultato eccezionale. L’analisi spettrale della luce della sorgente indicavano che la radiazione emessa proveniva da un oggetto lontanissimo, più lontano di qualsiasi altro mai osservato fino ad ora.



A Paolo D’Avanzo, astrofisico dell’Università di Milano-Bicocca, abbiamo chiesto di commentare quei momenti e di spiegarci l’importanza dei risultati conseguiti.

Ci può descrivere anzitutto i tre principali protagonisti di questo evento straordinario: il satellite Swift, la collaborazione CIBO e il telescopio Galileo?

In orbita intorno alla terra c’è il satellite SWIFT, che è stato realizzato da una collaborazione fra la NASA, l’agenzia spaziale italiana (ASI) e l’agenzia spaziale del Regno Unito. Il satellite è in orbita dal 2004 proprio per rilevare le esplosioni di questi GRB, o lampi gamma. I GRB avvengono in media una volta al giorno e il satellite, non appena rileva un picco di energia gamma da qualche parte nell’universo, ripunta tutti i suoi telescopi di bordo per rintracciare la posizione dell’emissione e trasmetterla a Terra. Qui, chi ne ha la possibilità, utilizza i telescopi normali, quelli che osservano nella banda ottica, puntandoli rapidamente alle coordinate date dal satellite e cercando di raccogliere più informazioni possibili sulla stella appena esplosa. Eventi simili non sono predicibili, quindi bisogna essere sempre un all’erta. È per questo che un gruppo di astronomi italiani si è organizzato da anni – prima ancora che venisse lanciato il satellite SWIFT – dando vita al consorzio CIBO, del quale anch’io faccio parte – che sostanzialmente cerca di coordinare al meglio le osservazioni da Terra per seguire questi eventi ogniqualvolta un satellite mandi l’allerta. Noi principalmente lavoriamo con il Telescopio Nazionale Galileo, un telescopio con uno specchio principale del diametro di quasi quattro metri, che si trova alle isole Canarie perché è un buon posto per le osservazioni astronomiche.

Come avete fatto a capire che si trattava di una stella così lontana?

Che fosse lontana non l’abbiamo capito quella notte: i lampi di luce gamma sono stati scoperti quarant’anni fa, ma si è iniziato a capirci qualcosa di più solo dalla fine degli anni novanta, grazie a un altro satellite italiano, il BeppoSax (dedicato al fisico Giuseppe Occhialini). Da diversi anni gli astronomi concordano nel ritenere che lampi di questo tipo derivino dall’esplosione di una stella molto massiccia: è un’ipotesi emersa dagli sviluppi teorici degli ultimi decenni e suffragata da diverse evidenze osservative. Quello che abbiamo osservato il 23 aprile era un lampo come tutti gli altri, che quindi poteva essere ancora ricondotto all’idea della morte di una stella: il risultato eccezionale si è delineato quando siamo riusciti a misurarne la distanza e abbiamo visto che si tratta del fenomeno astronomico più distante mai registrato fino ad oggi.

Come si arriva a queste misure?

Si usa la tecnica del red shift, ovvero lo spostamento verso il rosso delle lunghezze d’onda dovuto all’espansione dell’universo. Il telescopio è come un prisma che prende la luce proveniente dalla stella e la scompone in tutte le sue lunghezze d’onda. Il fatto è che noi abbiamo visto solo le lunghezze d’onda più rosse, il che significa che l’oggetto è molto lontano e quindi vecchio. Le frequenze del blu sono state assorbite dall’idrogeno che c’è tra una galassia e l’altra del nostro universo. In realtà noi già ci aspettavamo che fosse distante, perché c’erano state delle osservazioni prima: infatti quando il lampo è esploso alle Canarie era giorno.

Il grande risultato raggiunto nel pomeriggio del 24 aprile è stato di aver misurato un red shift di 8.1, che tradotto in termini più comuni significa che noi abbiamo visto una stella esplosa “solo” 650 milioni di anni dopo il Big Bang.

Qual è l’importanza di un’osservazione di questo tipo?

Uno di questi motivi per cui si studiano questi lampi gamma è che quando una stella esplode aumenta esponenzialmente la sua luminosità. Una stella come quella in questione dunque non si poteva vedere senza che esplodesse. Queste stella che esplodono diventano molto brillanti: per intenderci, sono molto più brillanti dell’intera galassia che le ospita; diventano quindi come dei “fari” che si accendono improvvisamente e ci permette di studiare l’universo lontano.

Voglio aggiungere che l’osservazione di questo bellissimo burst e la sua misura derivano tutte da un’equipe italiana e arrivano proprio nell’anno internazionale dell’astronomia, 400 anni dopo che un altro italiano, Galileo Galilei, per primo usò un cannocchiale per studiare il cielo. Un modo ideale per celebrarlo.