Da anni il professor Vincenzo Manna, docente di Neuropsicologia alla Sapienza, gestisce il Centro di Salute Mentale di Roma. In quanto esperto di sindrome da stress post traumatico, il sussidiario.net gli ha chiesto quale sia per le vittime del terremoto che abbiano subito traumi psicologici la migliore strada da intraprendere, ovviamente nei limiti del possibile, per una giusta riabilitazione.
Professor Manna, che cosa può scatenarsi nella testa di persone che abbiano vissuto ore così traumatiche come quelle del terremoto in Abruzzo?
Qualunque esposizione a un evento stressante, laddove soprattutto c’è il pericolo per la propria incolumità o addirittura per la propria vita o quella dei propri cari, mette in moto dei meccanismi di risposta e di reazione all’evento che coinvolgono fortemente le aree del cervello sottocorticali. Si tratta di zone che interessano le reazioni emotive, emozionali e, in qualche modo, questo tipo di dinamica produce anche uno stile di interpretazione cognitiva degli eventi particolari.
Cosa intende precisamente con quest’ultima affermazione?
Semplicemente che viene più o meno rivissuto l’evento stressante, in maniera non voluta, ogniqualvolta qualche stimolo proveniente dalla realtà, per quanto minimo, possa rievocarne sul piano amnesico le circostanze che l’hanno generato. Una situazione che è fortemente involontaria e che spesso è correlata a tutta una serie di sintomi che sono di natura neurovegetativa: la tachicardia, la palpitazione, l’ansia e via dicendo. Questo tipo di reazione viene innescata da stimoli che in qualche modo, magari senza apparenti connessioni, rievocano qualunque simbolo che il paziente ha associato all’evento traumatico.
Quanto possono durare questi sintomi? Si parla di giorni, di anni o di un effetto cronico?
Normalmente questo tipo di reazione è del tutto fisiologica. Non dimentichiamoci che di per sé la paura ci permette la fuga o l’adattamento veloce alle circostanze. È un meccanismo neurobiologico che è stato sviluppato per la sopravvivenza degli individui. Ma tale meccanismo può “incepparsi”, e per lo più avviene in chi è predisposto ai disturbi da stress post traumatico. Nei soggetti colpiti da stimoli anche “neutri” di per sé possono derivare molteplici fattori d’ansia. Questa situazione patologica può persistere a volte anche per anni e talvolta divenire persino invalidante. Naturalmente ciò non è legato solo all’intensità dello stress, è anche, come ho spiegato, un problema di soggettività.
Qual è la miglior cosa da fare se si viene traumatizzati da una catastrofe come quella avvenuta in Abruzzo?
La terapia naturalmente non può che essere appannaggio di psichiatri specialisti. Ma un’utilissima prima risposta in quei è invece la rassicurazione e il sostegno da parte di qualsiasi figura umana. Se pensiamo a popolazioni che hanno subito lutti e perdite, e con questo termine intendo anche la perdita del proprio immediato avvenire, si può ben capire che nei momenti immediatamente successivi a un simile choc ci si trova di fronte a persone non tanto depresse quanto, comprensibilmente, disperate. Per la disperazione non c’è terapia che tenga, occorre aspettare che passi. Superata questa fase difficilissima ci saranno ovviamente pazienti più sensibili, in cui questo evento traumatico lascerà una traccia più grave e profonda, e soggetti che riusciranno in maniera un po’ più equilibrata a riadattarsi. Sicuramente un efficace aiuto è vissuto non solo sul piano emotivo ma anche su quello cognitivo. Capire che la realtà ha un senso, e impostare i propri pensieri su questa certezza, ci aiuta a sopravvivere.
Esistono centri medici psichiatrici specializzati per intervenire in questi casi?
L’ideale è sempre rivolgersi alle strutture psichiatriche ospedaliere, magari universitarie, dove pressoché in ciascuna, esistono team che trattano con maggiore specificità i disturbi post traumatici
Il fatto che la popolazione abruzzese sia stata vittima non solo di una scossa tellurica, ma anche di molte altre ripetizioni può considerarsi un’aggravante dello stato mentale?
Direi non particolarmente. Anzi, paradossalmente la ripetizione dell’evento stressante può persino essere vantaggiosa. Dopo l’allarme e la paura iniziali, dovuti al primo incontro con l’oggetto dello stress, avere altri stimoli della stessa natura può dare in molti casi la sensazione di superarli, di riuscire a proteggersi e a gestire la situazione. In questo caso dunque direi che gli unici seri danni che può dare una ripetizione dell’evento sono materiali, ossia per le persone fisiche e per gli edifici.
Si è parlato molto in queste ore anche dell’iniziativa dei clown per i bambini colpiti dal terremoto. Quanto può essere grave e traumatico, per la coscienza di un bambino, un evento simile?
Per rispondere a questa domanda bisogna chiarire innanzitutto una cosa, ossia che generalizzare è sempre un errore e in questi casi lo è ancor di più. In primo luogo perché col termine “bambini” si considerano solitamente fasi della crescita diversissime, e, in secondo luogo, perché (questo riguarda tutti i casi) di volta in volta il tipo di trauma può differire. Un conto, ad esempio, e veder crollare la propria casa, un altro quella del vicino. Ciò detto un evento stressante può creare problemi nella più tenera età e pensare che venga rimosso e non generi più effetti è un grave errore perché, per quanto nei primi anni di vita si possa non avere consapevolezza del proprio vissuto, questo resta comunque iscritto nella nostra “black box” cerebrale. Il trauma lascia sempre una traccia di sé e la lascia anche nel nostro vissuto quotidiano, non soltanto nella nostra memoria storica. Per questo motivo trovo personalmente che sia stata una grande iniziativa quella di inviare i clown ai bambini, non tanto perché possano dimenticare, quanto perché imparino l’importanza e la capacità consolatoria, in ogni circostanza, di un rapporto umano.