Il tema della riprogrammazione cellulare era stato indicato da alcune importanti riviste scientifiche, all’inizio di questo 2009, come uno dei principali obiettivi scientifici dell’anno e la previsione trova le prime conferme. Come quella riportata nel numero di maggio della rivista scientifica Faseb, l’organo ufficiale della Federazione delle Società Americane di Biologia Sperimentale. In un interessante articolo si descrivono esperimenti indirizzati a dimostrare che il programma genetico di un tipo cellulare può essere cambiato in quello di uno diverso. Secondo Helen M. Blau, dello Stem Cell Institute e direttore del Baxter Laboratory in Genetic Pharmacology a Stanford, che ha diretto il programma di ricerca, questi risultati si collocano nella prospettiva della medicina rigenerativa che spera di arrivare a nuovi e potenti trattamenti per molte malattie avendo a disposizione cellule con le caratteristiche specifiche adatte per sostituire quelle distrutte o non funzionanti. Esperimenti come quello presentato sul Faseb Journal mostrerebbero la possibilità di riprogrammare direttamente cellule mature per produrre quelle necessarie alla sostituzione desiderata.
Cosa hanno fatto gli studiosi di Stanford? Mediante un trattamento chimico hanno fuso tra loro cellule di cute umana e cellule muscolari di topo ottenendo così cellule contenenti sia nuclei di cute che di muscolo di topo. Essendo incapsulati nella stessa struttura cellulare i due corredi genetici possono mutuamente interferire. Il controllo dei geni espressi da uno o dall’altro genoma (distinguibili perché di specie diverse) ha permesso, con parecchi esperimenti, di indurre i nuclei delle cellule di cute ad esprimere geni di cellule muscolari di topo e viceversa dimostrando la possibilità di trasformare una cellula di un tipo in una di un altro.
Commentando la notizia Augusto Pessina, docente all’Università di Milano e Presidente della Associazione Italiana di Colture Cellulari (AICC) , ha osservato che «in realtà il dato in sé non è nuovo. Nuova è l’ipotesi portata che il fenomeno sia bidirezionale e dipenda dal prevalere di un assetto genomico piuttosto dell’altro. Sperimentalmente si sono creati degli ibridi cellulari contenenti due nuclei di diversa tipologia cellulare per verificare l’ipotesi della cosiddetta “esclusione del fenotipo”». «Purtroppo», ha aggiunto Pessina, «si conosce ancora pochissimo o quasi niente dei meccanismi che regolano la complessa interazione dei geni e profetizzare che da questo dato si possa sperare in chissà quale passo avanti nella medicina rigenerativa mi sembra esagerato e anche fuorviante. Questi esperimenti vengono proposti nella linea di ricerca tendente a riprogrammare cellule adulte fino al punto da renderle simili, per potenziale differenziativo alle stesse cellule embrionali. È quanto accade per le cellule staminali pluripotenti indotte (IPS cells, Induced Pluripotent Stem cells), ottenute trasferendo in cellule adulte geni embrionali mediante vettori retrovirali o tramite i geni mobili, i cosiddetti transposoni). In realtà le cose non sono così semplici come si vuol far credere».
Pessina comunque ritiene che si tratti sicuramente di una strada giusta da seguire innanzitutto perché non pone (almeno per ora ) gravi implicazioni etiche e potrebbe disincentivare l’utilizzo di embrioni umani. «La strada è lunga ma è giusta solo in parte; personalmente ritengo che investire sulle cellule staminali somatiche e in particolare quelle mesenchimali sia la via migliore e anche con maggiore probabilità di successo in tempi più brevi».