Le comunità microbiche che vivono negli oceani a diverse profondità sono degli ottimi biosensori, le cui reazioni agli stimoli esterni possono risultare molto utili per lo studio di molti ecosistemi.

La conoscenza approfondita delle interazioni tra microbi e ambiente non è però così semplice. I microbi sono dei sensori ultra sensibili e possono rispondere rapidamente anche a piccolissimi cambiamenti dei principali parametri ambientali quali la luce, la temperatura, la pressione, i composti chimici; la risposta si concretizza in una specifica modificazione dell’espressione proteica del soggetto microbico. Accade però che l’elevata sensibilità di questi organismi pone un problema di difficile soluzione, in qualche modo analogo a quello che la meccanica quantistica ha posto ai fisici della prima metà del secolo scorso: se si interviene nell’ambiente per prelevare i microbi, si produce una modificazione dell’espressione proteica e così si perde la possibilità di conoscere quale era tale espressione prima dell’intervento; d’altra parte, senza intervenire non si ottiene alcuna informazione. Per giunta, proprio a causa della loro sensibilità, questi microorganismi sono molto difficili da “coltivare” tramite le tradizionali colture cellulari in laboratorio.



Ecco allora il valore di una ricerca conclusa recentemente da un gruppo di ingegneri ambientali del MIT di Boston e pubblicata su Nature nei giorni scorsi: hanno messo a punto un metodo per ottenere campioni di microorganismi marini senza modificare l’espressione genica originale. Il segreto sta nella presenza di piccole molecole di RNA (l’acido ribonucleico, un polimero organico chimicamente molto simile al DNA e che sta assumendo sempre più importanza in biologia) che agiscono come valvole in grado di regolare l’espressione genica dei piccoli organismi microbici. La tecnica sperimentata dal gruppo guidato da Edward Delong, è quella della metatrascrittomica, dove il termine trascrittomica sta ad indicare la disciplina che studia l’insieme degli RNA messaggeri di una cellula chiamato appunto trascrittoma per via della sua funzione di trascrizione delle informazioni genetiche.



Il ritrovamento inatteso di una abbondanza di piccoli RNA (small RNA, noti anche come sRNA) in vasti ecosistemi oceanici ha permesso di applicare la nuova metodologia con successo. Gli scienziati americani hanno trovato il modo di raccogliere e filtrare i campioni di microbi marini prima che questi attuino il cambiamento della loro espressione proteica: ciò è stato possibile grazie al perfezionamento di un processo di amplificazione di RNA estratto da piccoli quantitativi di acqua.

A indirizzare gli scienziati verso questa soluzione del problema è stata la scoperta che molto del RNA considerato adatto per la codifica delle proteine è in realtà sRNA, che agisce da catalizzatore o da regolatore nei processi metabolici dei microbi. Se immaginiamo i batteri marini e le loro proteine come piccoli stabilimenti produttivi impegnati in attività biogeochimiche – come catturare la luce solare per produrre ossigeno e sintetizzare zucchero dalla anidride carbonica – allora gli sRNA sono gli interruttori interni che avviano e fermano l’azione delle linee di produzione.



Le nuove scoperte aprono quindi la strada allo studio in situ di molti ecosistemi.

L’ulteriore interessante questione che si profila adesso è di capire quale reale vantaggio adattativo viene conferito dai piccoli sRNA ai microorganismi. Ad esempio, si potrebbe ipotizzare che microbi con specifici sRNA abbiano prestazioni migliori nella competizione per procurarsi le sostanze nutritive in situazioni difficili.

Le ricerche presentate dagli ecoingegneri del MIT sono un primo passo sulla via della risposta a tale quesito.