Una volta chiarito, come ha fatto Giovanni Paolo II nel celebre discorso del 1992, che quella tra Galileo e la Chiesa del suo tempo è stata «una tragica reciproca incomprensione» e che non c’è «un’opposizione costitutiva tra scienza e fede», restano ancora molti aspetti da studiare e approfondire circa il celebre “caso”. Così almeno ritengono i promotori del convegno internazionale di studi “Il caso Galileo. Una rilettura storica, filosofica, teologica”, che inizia oggi a Firenze e si svolgerà fino al 30 maggio.
Il convegno, che ha avuto l’adesione di 18 Istituzioni nazionali e internazionali, è organizzato dall’Istituto Stensen dei gesuiti di Firenze diretto da Padre Ennio Brovedani sj, ideatore dell’iniziativa e vedrà gli interventi dei massimi esperti e studiosi mondiali del tema (teologi, storici, filosofi), tra i quali George Coyne, Evandro Agazzi, Claus Arnold, Paolo Prodi, Adriano Prosperi, Annibale Fantoli, Jean-Robert Armogathe, Horst Bredekamp, Michele Ciliberto e Paolo Galluzzi. I lavori si terranno nel Palazzo dei Congressi ma avranno oggi un’inaugurazione straordinaria nella suggestiva cornice della basilica di Santa Croce (dove si trova la tomba di Galileo), con le lectiones magistrales di Nicola Cabibbo (presidente della Pontificia Accademia delle Scienze) e Paolo Rossi (professore emerito di Storia della Scienza dell’Università degli Studi di Firenze), alla presenza del capo dello stato Giorgio Napolitano.
Al professor Paolo Ponzio, membro del comitato scientifico del convegno, abbiamo rivolto alcune domande all’inizio di questa intensa settimana.
Un nuovo convegno sul caso Galileo: c’è ancora qualcosa da dire? Ci sono novità nelle ricerche?
Il IV centenario delle osservazioni astronomiche di Galileo, è stato salutato come una ricorrenza interessante per poter mettere di nuovo al centro quale sia stato l’apporto scientifico ed epistemologico dello scienziato italiano più conosciuto al mondo. In particolare, il convegno fiorentino su Galileo ha una specificità del tutto nuova: finalmente dopo anni, anzi secoli di contrapposizione, si è riusciti a far dialogare istituzioni accademiche tra loro distanti e, soprattutto, a far dialogare un tavolo di studiosi che provenivano da differenti estrazioni dottrinali. Nel caso di Galileo, poi, le ricerche sempre più specifiche e analitiche sono caratterizzate non solo da novità di ritrovamenti documentari e filologici, bensì anche da un nuovo approccio all’intero “caso Galileo”. Da questo punto di vista, è innanzitutto una grande novità il poterne parlare senza apparenti steccati o vicendevoli smentite. Certamente in questa direzione non si può dire che vi siano già sintesi interessanti ed esplicative, ma iniziali tentativi.
Quali sono le piste di ricerca storica più interessanti e promettenti di risultati?
Il rinnovarsi degli studi di Galileo, in questi ultimi vent’anni, è stato caratterizzato, da un punto di vista storico, da un evento particolarmente importante: l’apertura dell’Archivio segreto del Sant’Uffizio. Se certamente si può dire, senza ombra di smentite, che i documenti del processo del 1633 erano noti nella loro completezza, non tutto era ancora chiaro agli storici, e tanti fraintendimenti sono ancora nell’opinione di tutti. Un esempio su tutti: nel primo processo del 1616, cosa è realmente accaduto? La chiesa ha condannato il copernicanesimo come eretico? I documenti, ora a nostra disposizione ci indicano che la Chiesa – in quell’occasione – ha saputo leggere i segni dei tempi, non condannando formalmente l’ipotesi eliocentrica, ma mettendo all’indice donec corrigatur (vale a dire, sin tanto che non fosse stato corretto) l’opera copernicana De revolutionibus orbium coelestium. Nessuna procedimento del Sant’Uffizio fu, in quell’occasione, preso nei confronti dello scienziato pisano: solo un ammonimento privato del cardinal Bellarmino (che Galileo chiese gli venisse notificato per iscritto) a non insegnare come reale la dottrina copernicana ma solo come ipotesi. Nei fatti, Galileo fu ben contento di tornarsene a Firenze con quest’unico avvertimento personale.
Lei in particolare di cosa si è occupato più da vicino?
È oramai da più di dieci anni che mi sono imbattuto nel “caso Galileo” e nella sua battaglia pro Copernico, cercando di scorgerne i nessi con la teologia del tempo. Nella storiografia galileiana del XX secolo – forse in conseguenza delle posizioni positiviste dello scorso secolo – le varie interpretazioni proposte hanno da sempre celato al proprio interno una forte debolezza nella novità del giudizio, frutto di una mancanza di serenità e di una scarsa obiettività. La caratteristica di questi studi sembra essere stata la presentazione di argomentazioni che ripropongono, sotto una veste di apparente originalità, vecchie e ormai superate tesi apologetiche. E tale carenza di originalità e rivestimento apologetico sono gli ingredienti non solo di larga parte della storiografia galileiana di matrice cattolica, ma anche – è bene ricordarlo – di quella più propriamente “laica”. Il tentativo che ho cercato sempre di proporre è stato quello di far parlare i documenti a nostra disposizione, intrecciandoli con il contesto generale sia teologico che filosofico, fornendo – per quanto possibile – tutti quegli elementi che facilitassero lettore a formulare un suo giudizio sull’intera vicenda galileiana.
Su cosa verterà il suo intervento al convegno?
L’intervento programmato durante il Convegno verterà su quelle teologie che in modo diretto e indiretto hanno influenzato e interloquito con il processo al copernicanesimo del 1616, attraverso le figure di Roberto Bellarmino, Paolo Antonio Foscarini e Tommaso Campanella. Tre teologi e tre modalità del tutto differenti di risolvere il problema del nesso tra scienza galileiana ed esegesi biblica. Ma, anche qui, occorre forse iniziare con una domanda semplice ma assolutamente decisiva: in che modo le nuove teorie scientifiche entrano all’interno delle dottrine teologiche del tempo? Vi è un problema “Copernico”, o tale questione nasce da ciò che accade all’indomani del Sidereus Nuncius? E quali sono gli strumenti concettuali dei teologi? In che modo si configura il rapporto tra scienza e fede nel XVII secolo? Solo rispondendo a tali domande si potrà, poi, giungere a comprendere scelte e decisioni, a volte, così lontane da quella che è il nostro comune modo di recepire tale problematica.
Come avete articolato il programma della settimana?
Il programma del Convegno è articolato secondo una prospettiva storica. Si inizia mercoledì 27 maggio con le relazioni sul processo del 1616 per concludere venerdì 29 maggio con le recezioni del “caso Galileo” nel XX secolo. I due appuntamenti iniziali e finali – il primo in Santa Croce con le relazioni magistrali di Nicola Cabibbo e Paolo Rossi, e il secondo a Villa Gioiello, ad Arcetri con la tavola rotonda conclusiva – sono state pensate per un pubblico più vasto e sono aperte a tutti.
Cosa si aspetta dall’evento conclusivo, che ha come titolo “Galileo oggi”?
A questa domanda mi piacerebbe rispondere solo al termine del convegno, nella convinzione che la realtà risponde sempre più adeguatamente di ogni discorso preventivo e di ogni aspettativa indefinita. È vero, tuttavia, che il convegno ha avuto una lunga preparazione, non sempre facile, ma – alla fine – condivisa da tutti i componenti del Comitato scientifico. E questo, mi sembra che possa già essere considerato un primo timido risultato. C’è, poi, anche una speranza: che si possa arrivare, col tempo, a una sempre maggiore serenità, giungendo a riconoscere quelle «incomprensioni che hanno causato l’aspro e doloroso conflitto» e alla «composizione onesta e leale dei vecchi contrasti» invocata cui Giovanni Paolo II nel lontano 1979.
a cura di Mario Gargantini