La notizia ha fatto in poco tempo il giro del mondo: è quella della produzione in laboratorio di alcuni componenti fondamentali della molecola di RNA (Acido RiboNucleico), uno dei candidati ad aver partecipato, in epoche primordiali, a quel complesso e tuttora sconosciuto processo che ha portato alla comparsa della vita sulla Terra. E c’era da aspettarsi che l’impronta riduzionista che domina tanti mezzi di comunicazione, segnalasse sbrigativamente l’evento con accenti del tipo “ricreata la vita in laboratorio” o simili.



Ma l’autore della performance scientifica evita subito simili semplificazioni e correttamente tiene a precisare che il suo è solo un primo step, un passo di una strada molto lunga e non ancora del tutto delineata. È John Sutherland, biochimico dell’Università di Manchester, che ha guidato un gruppo internazionale che dopo anni di tentativi è riuscito a sintetizzare in laboratorio i primi frammenti di RNA a partire da semplici composti inorganici.



Sutherland ha accettato di descrivere per ilsussidiario.net gli aspetti principali della sua ricerca.

 

Può descrivere il suo esperimento: da dove siete partiti, quale apparato sperimentale avete utilizzato, quali temperature avete raggiunto, che tipo di radiazioni avete impiegato per attivare la reazione?

Abbiamo cominciato con molecole che pensiamo possano essere state presenti a livello prebiotico nelle epoche primordiali della Terra. Poi le abbiamo sottoposte a una serie di condizioni in sequenza. Abbiamo usato normali attrezzature da laboratorio, purificando nei vari stadi i prodotti di reazione per vedere cosa era successo prima di sottoporli alle reazioni successive. Ovviamente, questo apparato di ricerca e gli interventi dei ricercatori determinano una situazione ricostruita ad hoc e non sono immaginabili nella reale situazione prebiotica; tuttavia situazioni sperimentali come la nostra hanno lo scopo di dimostrare che la cosa è possibile.



Alla fine dovremo portare avanti l’esperimento senza queste interferenze in un apparato geochimico più realistico, per esempio uno stagno artificiale. Comunque, e questo è un punto cruciale, i nostri risultati suggeriscono che la chimica sottostante ai building blocks del RNA funziona! Gli esperimenti finora indicano che le condizioni per ricreare una sintesi prebiotica comportano il riscaldamento a circa 60 gradi di una soluzione acquosa, per poi seccare il residuo scaldandolo a 100 gradi ed infine reidratarlo e irradiare la soluzione derivante con una luce UV. La luce UV ha una gamma di lunghezza d’onda coerente con quanto ci si aspetta per lo stadio iniziale della Terra che, non avendo ossigeno, non avrebbe avuto ozono per filtrare i raggi UV.

La coincidenza sorprendente è che le nostre condizioni ricordano il “ piccolo stagno caldo” di Darwin, se questo stagno venisse asciugato e poi reidratato e esposto alla luce del sole!

Il vostro scopo era ottenere dei frammenti di RNA o si è trattato di un risultato non previsto?

 

Il nostro scopo era precisamente cercare di trovare condizioni prebiotiche plausibili per la sintesi dei building blocks del RNA su un lungo periodo. Avevamo il sospetto che una tale chimica dovesse essere possibile perché la vita esiste grazie alla chimica.

In ciò che avete ottenuto c’è ancora qualcosa che manca rispetto al programma di partenza?

Abbiamo ottenuto due dei building blocks  chiave. Ora dobbiamo ottenere gli altri due, ma ci stiamo lavorando intensamente.

Vi è qualche analogia tra il vostro esperimento e quello condotto da Miller e Urey negli anni ’50, volto a dimostrare la formazione di molecole organiche a partire da sostanze inorganiche e spesso presentato come dimostrazione dell’origine della vita sulla Terra?

L’esperimento paradigmatico di Miller produce migliaia di composti ciascuno con un basso livello di resa, perché quella chimica comporta molta energia ed è incontrollata. La nostra sequenza chimica produce solo pochi composti, ma con un’elevata resa, poiché ogni fase è controllata dal fosfato che è a sua volta una delle molecole precursore. C’è bisogno di continuare il lavoro e credo che il punto di riferimento di questo lavoro debba essere la chimica organica, un ambito che può ancora rivelare enormi potenzialità nell’aiutarci a capire come si è evoluta fin dal suo inizio quella splendida autoorganizzazione molecolare che chiamiamo vita.

 

Al Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università Bicocca di Milano il professor Paolo Tortora segue da tempo le ricerche che in tutto il mondo sono indirizzate alla comprensione dei meccanismi che possono aver prodotto l’emergere di quel singolare fenomeno che chiamiamo vita. Era al corrente delle ricerche di Sutherland ma ha atteso di leggere su Nature il resoconto dettagliato degli esperimenti.

Professor Tortora, cosa ne pensa?

Si tratta di un lavoro molto preciso e ben condotto. Potremmo dire che si situa nella linea del celebre esperimento di Miller, o meglio che ne rappresenta una sorte di estensione e ampliamento, anche se qui siamo di fronte a qualcosa di molto più raffinato sia per quanto riguarda la chimica coinvolta, per il rigore con cui le condizioni di sviluppo del processo sono state controllate.

Nei vari commenti a questo tipo di esperimenti, spesso si ricorre con una certa leggerezza a termini come prebiotico o addirittura a espressioni come “origine della vita”. Non le sembra necessario un maggior rigore in proposito?

Certamente. Il termine prebiotico sta a indicare semplicemente tutta quella chimica che viene prima della vita; si riferisce agli ingredienti del fenomeno “vita” ma non si tratta ancora di vita. Deve essere chiara, senza equivoci la distinzione tra “prebiotico” e “vita”.  D’altra parte anche la definizione stessa di vita è problematica, tanto che non riusciamo a darne una esauriente definizione scientifica che tenga conto della molteplicità di aspetti del fenomeno. E quindi difficile parlare di una fase immediatamente pre-vita se non si sa bene cosa sia vita.

Sutherland e il suo gruppo parlano di building blocks, quindi siamo ancora ad uno stadio iniziale del processo vitale ….

Sì, i cosiddetti building blocks rappresentano la tipica chimica che potremmo chiamare prebiotica. Ma poi bisognerà arrivare alle macromolecole, derivanti dall’assemblaggio dei building blocks, e anche qui saremmo a uno stadio ancora lontano da un organismo vivente, per quanto elementare e primordiale. Finora nessuno, a partire da elementi semplici e inorganici è riuscito a costruire vere macromolecole biologiche dotate di funzione o depositarie di informazione; e quindi chi si impegna in questi esperimenti sa bene di mettersi su una strada molto parziale e limitata. Ci vuol altro per parlare di “vita”; manca il punto chiave, che è la capacità di auto replicarsi, di riprodursi mantenendo inalterata l’identità originaria dell’organismo.

A cosa servono allora esperimenti del genere? E come vede il futuro di queste ricerche?

Possono essere molto utili per aiutarci a capire come si è sviluppata la chimica prebiotica, cioè come sono stati generati i composti che hanno posto le condizioni per la comparsa dei primi organismi; ci possono quindi illuminare circa i meccanismi che hanno determinato l’apparire della vita sulla Terra, senza per questo che si riduca o che venga meno la misteriosa grandezza del fenomeno e la sorpresa per il suo accadere.

Quanto agli sviluppi futuri, dubito che si possa andare oltre certi limiti. Anche perché non bastano gli ingredienti e non basta neppure ricostruire lo stagno caldo primordiale. Non si avrà vita senza una risposta adeguata al problema cruciale: come nasce l’organizzazione, che fa del vivente un sistema organizzato, e da dove viene l’informazione che presiede a tale organizzazione.