Il nostro Sole si sta comportando in modo un po’ strano. Dal 2004 ci sono stati quasi 650 giorni senza macchie solari visibili a fronte di una media di meno di 500 per i cicli passati; siamo quindi in una fase di minimo molto prolungata dopo il massimo di attività registrato nel 2001 (con un secondo picco meno intenso nel 2003). In particolare, la fine del ciclo attuale sta registrando un numero elevato di giorni senza macchie: sono stati 266 nel 2008 (73%) e finora 126 nel 2009 (79%).



Per parlare di questo problema, il luogo ideale in Italia è l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri (Firenze), dove abbiamo raggiunto Gianna Cauzzi, ricercatrice astronoma che si occupa proprio di fisica del Sole.

Cosa sono le macchie solari? C’è ancora qualcosa che non sappiamo su di loro?

Le macchie solari indicano zone della superficie del Sole dove affiorano intensi campi magnetici, che si sviluppano all’interno del Sole stesso tramite un effetto di dinamo alimentato dalle forti correnti elettriche presenti nell’interno. Le macchie appaiono più scure dei loro dintorni perché la presenza di campi magnetici intensi inibisce il normale trasporto di energia dall’interno della stella verso la superficie. Questo fa sì che le zone magnetiche abbiano temperature di 3-4000 °C, a fronte di una temperatura tipica del Sole di 5600 °C. Quindi le macchie sono “scure”, anche se non propriamente “fredde”. È simpatico citare che già Galileo, apparentemente, si rese conto che benché scure, le macchie erano sempre più luminose del cielo.



Ancora oggi non abbiamo ben chiaro come le macchie riescano a restare stabili per periodi di tempo piuttosto lunghi (da diversi giorni fino a qualche settimana) e soprattutto, come venga creata e mantenuta la cosiddetta penombra, ovvero una zona meno scura che circonda le macchie più grandi come un’aureola. Come per altri fenomeni alla superficie del Sole, si sta facendo largo l’idea che la penombra sia il risultato di un equilibrio statistico di fenomeni altamente dinamici, ovvero che cambiano su scale temporali molto brevi, dell’ordine di pochi minuti.

Perché è importante continuare ad osservarle?



Ci sono diversi motivi per cui lo studio delle macchie è importante. Da un punto di vista puramente astrofisico, esse ci danno la possibilità di studiare in dettaglio l’interazione tra plasmi (cioè gas ionizzati) e campi magnetici: un fenomeno di grande rilevanza in molte situazioni quali la formazione stellare, l’attività nei nuclei galattici ecc. Questo stesso tipo di interazioni è inoltre uno dei principali argomenti di studio della fisica del plasma, che trova applicazioni pratiche ad esempio nei reattori per la fusione termonucleare.

Infine, le macchie rappresentano la parte più visibile del cosiddetto ciclo di attività solare, che si manifesta con un periodico aumento e diminuzione del campo magnetico alla superficie del Sole. Il numero delle macchie ha una periodicità di circa 11 anni, anche se il ciclo vero e proprio ha periodo doppio, in quanto la polarità magnetica in ciascun emisfero solare si inverte ogni 11 anni. La posizione, l’estensione, il momento in cui appaiono, la durata e altre proprietà fisiche delle macchie ci danno informazioni importanti sul funzionamento della dinamo operante all’interno del Sole (e di altre stelle simili).

Lo scopo ultimo di tali studi è di predire l’operato della dinamo e quindi il tipo di campi magnetici che si presenteranno in un futuro alla superficie del Sole. Questo ci riguarda direttamente, in quanto a campi magnetici particolarmente intensi sono spesso associati fenomeni esplosivi di rilascio di energia e massa (chiamati brillamenti ed espulsioni di massa coronale) che possono investire la Terra e avere conseguenze sulla nostra vita quotidiana. Infatti questi fenomeni improvvisi si manifestano con una forte emissione di radiazione energetica (raggi UV, X e gamma) e particelle ionizzate che, quando impattano sulla atmosfera terrestre ne provocano modificazioni importanti: ad esempio aumenti di densità che possono modificare l’orbita di satelliti; o tempeste magnetiche con disturbo delle trasmissioni radio; o correnti elettriche indotte che possono influenzare le nostre reti di distribuzione dell’energia (ricordiamo il black out del 1989 in Canada e Usa, provocato da un forte brillamento). Infine, radiazioni e particelle rappresentano un pericolo concreto per le nostre attività spaziali quali la Stazione Spaziale Internazionale e gli astronauti che vi si trovano a bordo.

Sul lungo periodo, lo studio delle macchie e dell’attività solare è di grande importanza per quel che riguarda l’influenza solare sul clima terrestre. Infatti, l’agente “solare” di gran lunga più importante per l’atmosfera terrestre è la radiazione ultravioletta, la cui emissione dipende fortemente dall’attività magnetica solare. Quindi i modelli climatici più sofisticati tengono conto del flusso UV solare e possono essere usati per stimare che tipo di effetti sarebbero prodotti da una sua variazione. Ad oggi non risulta ovvio che l’aumento di temperatura misurato a Terra negli ultimi decenni possa essere correlato con variazioni dell’attività solare.

Come si osservano le macchie solari?

La presenza, estensione e posizione delle macchie si possono misurare semplicemente proiettando su un foglio di carta l’immagine del Sole prodotta da un piccolo telescopio. Questo è il metodo adottato già da Galileo, e che è stato usato per centinaia di anni per produrre il catalogo delle macchie usato ancora oggi. Ovviamente misure più “fisiche” quali la temperatura, intensità del campo magnetico, presenza di moti o meno, richiedono strumenti più sofisticati che fanno uso della spettroscopia, ovvero dell’analisi della luce emessa dalle macchie. Strumenti per questo scopo sono presenti in tutti gli osservatori moderni, quali i telescopi solari alle Canarie e negli Usa, e i vari telescopi spaziali.

Un ruolo importante può averlo la sonda Soho, una missione spaziale Esa/Nasa lanciata nel 1995 e dedicata allo studio del Sole. Contiene diversi telescopi, ciascuno ottimizzato per un tipo di studio particolare. Per le macchie e il ciclo solare lo strumento più importante su SOHO è stato MDI (Michelson Doppler Interferometer), che ha prodotto in modo sistematico – 16 volte al giorno per 13 anni – immagini dell’intero disco solare contenenti informazioni sulla posizione delle macchie e del campo magnetico ad esse associato, nonché sui moti alla superficie del Sole. Questo set di dati, unico per copertura e durata (ricordiamo che nello spazio non piove mai…) è stato ed è tuttora oggetto di studi dedicati al ciclo di attività magnetica. SOHO ospita anche uno strumento italiano, l’UVCS (UltraViolet Coronal Spectrometer) che permette l’analisi spettroscopica della radiazione UV emessa nella corona.

L’attuale fase di minimo dell’attività solare può essere considerata anomala? Ci dobbiamo preoccupare?

É importante ricordare che i dati come durata del ciclo, numero di macchie e cosi via, vanno sempre intesi come numeri medi, ovvero derivanti dalla combinazione di situazioni che possono essere molto diverse tra di loro. Ad esempio un ciclo con un minimo ben più lungo fu quello di inizio ‘900 in cui si registrarono più di mille giorni senza macchie e che comunque non causò nessuna modifica di rilievo nella vita sulla Terra. Quindi per ora non direi che si possa parlare di situazione anomala, anche perché va ricordato che misure accurate dei cicli solari sono disponibili da tempi relativamente recenti.

Negli ultimi mesi sono apparse davvero poche macchie: circa una decina in sei mesi (per confronto, durante il massimo di attività nello stesso periodo ne potrebbero apparire diverse centinaia). Però queste poche macchie ci confortano nel senso che rispettano tutte le regole che caratterizzano un nuovo ciclo: hanno la polarità giusta; appaiono a latitudini elevate come succede sempre all’inizio di un nuovo ciclo; sono piuttosto piccole e di breve durata. Quindi ci sentiamo relativamente tranquilli sul fatto che il Sole si stia comportando come si deve.

Quello che non sappiamo in realtà è se questa risalita del nuovo ciclo sarà lenta o veloce, o se il massimo sarà intenso o meno. Le previsioni dei modelli di dinamo degli anni scorsi sono state smentite dai fatti (ad esempio, si prevedeva il minimo intorno al 2006 e un massimo tra il 2010 e il 2011); quindi c’é ancora parecchio lavoro da fare per poter arrivare a una reale comprensione della fisica che determina la dinamo solare.