La notizia è di quelle che spaventano anche solo per i nomi degli oggetti considerati: si parla infatti di muoni e di atomi ottenuti assemblando particelle e anti-particelle. Se però si ha la pazienza di addentrarsi un po’ nel pittoresco mondo dell’ultrapiccolo, si può cogliere la portata dell’articolo pubblicato sulle Physical Review Letters dai fisici Stanley Brodsky dello SLAC National Accelerator Laboratory e Richard Lebed della Arizona State University, che hanno descritto un metodo che consentirebbero di identificare la “firma” di un nuovo elemento denominato muonio.



Abbiamo provato a seguire questa pista, guidati da Stefano Forte, docente di fisica teorica all’Università degli Studi di Milano.

Anzitutto, che cosa sono i muoni e cosa li distingue dalle particelle più comuni come protoni ed elettroni?

Una delle scoperte più interessanti degli ultimi trent’anni e che rappresenta un punto base del cosiddetto modello standard delle particelle elementari, è che ogni particella esiste in tre copie, in tre versioni: per ogni particella in natura ce ne sono altre due uguali ma più pesanti. Perché sia così è tuttora un grande mistero; ma è così. In particolare l’elettrone ha due fratelli maggiori, uguali da tutti i punti di vista, cioè con la stessa carica, le stesse caratteristiche fisiche, lo stesso tipo di interazioni, solo che sono più pesanti: sono il muone e la particella tau. Il primo è circa 500 volte più pesante dell’elettrone, il tau circa 2000 volte. Il muone è stata la prima ad essere scoperta, sorprendendo i fisici che hanno reagito, per bocca del premio Nobel Isidor Rabi, dicendo “e questa da dove viene, chi mai l’ha ordinata?”.



Così come con protoni ed elettroni si formano gli atomi, è possibile immaginare che si formi un atomo con particelle come i muoni? E cosa distingue il muonio dal “muonio vero”?

Bastano i comuni ricordi scolastici per indicare l’atomo come composto di protoni (carichi positivamente) attorno ai quali ruotano gli elettroni (negativi) in una configurazione che si mantiene stabile. Si può allora pensare di sostituire una di queste due particelle con un’altra che abbia la stessa carica elettrica ma per il resto caratteristiche differenti: ad esempio, mettere un muone al posto di un elettrone. Questa operazione non solo è pensabile ma atomi del genere sono stati realizzati in laboratorio e con essi si riesce a fare addirittura un po’ di chimica. Naturalmente si può pensare anche di sostituire il protone, in questo caso al suo posto dovrebbe andare l’antiparticella dell’elettrone (cioè il positrone o elettrone positivo): l’atomo così formato si chiama positronio ed è stato prodotto per la prima volta cinquant’anni fa al MIT di Boston. È un oggetto molto particolare, perché le due particelle hanno la stessa massa (diversamente da quanto accade tra protone ed elettrone) e quindi non c’è una posizione prevalente ma ciascuna ruota attorno all’altra. L’elettrone è una particella molto semplice: è stabile, non si disintegra, non ha interazioni forti ma solo elettromagnetiche: quindi il positronio è un sistema ideale per fare studi di precisione sulla forza elettromagnetica. Ed eccoci allora al muonio, che non è altro che il positronio con l’elettrone rimpiazzato dal muone: quindi, un muone e un anti-muone che ruotano uno attorno all’altro. Questo è il cosiddetto “muonio vero”. Ce ne sarebbe un altro, chiamato semplicemente muonio, costituito da un elettrone che gira attorno a un anti-muone; è producibile in laboratorio, anche se non lo ritengo particolarmente interessante. Lo sono invece gli altri prima menzionati, per la loro grande simmetria e il tipo di studi di precisione che ci permettono di eseguire.



Se si formano atomi di muonio (ad esempio nei raggi cosmici), perché non sono mai stati osservati?

Con questo tipo di sistemi particellari, il difficile non è tanto produrli quanto osservarli. Sono sistemi che si disintegrano facilmente, proprio perché sono formati da una particella e da un’antiparticella. Basta un decimo di miliardesimo di secondo perché il positronio si disintegri e un millesimo di miliardesimo di secondo per far sparire il muonio: la vita media del muonio è quindi di un picosecondo.

I raggi cosmici quando arrivano sulla Terra sono effettivamente fatti di muoni e quindi devono contenere sistemi del tipo di quelli che stiamo descrivendo. Però, nella enorme quantità di particele che piovono sul pianeta con i raggi cosmici, è molto difficile andare a evidenziare oggetti così effimeri.

Cosa ne pensa dell’idea di Brodsky e Lebed di produrre il muonio negli acceleratori? Che energie ci vorrebbero?

L’energia non è un problema; nei laboratori produciamo particelle ben più massicce. Il difficile, come dicevo, è vedere il muonio prodotto. La proposta dei due fisici americani è interessante perché propongono un nuovo tipo di acceleratore, mai finora realizzato, dove i due fasci di particelle, ruotanti ad alta velocità in senso opposto, si scontrano non frontalmente ma con un certo angolo. Così succederebbe che i prodotti della collisione tendono ad andare tutti in avanti separandosi però in base al loro peso e quindi rendendosi distinguibili. In acceleratori del genere sarebbe quindi possibile indagare quelle particelle e quei sistemi particellari piuttosto rari, un po’ strani ed esotici.