Notizie di questo tipo sono destinate a fare colpo prima ancora che se ne possano precisare i particolari, con un’eco che facilmente travalica i loro contorni scientifici effettivi. Su tutti i giornali è rimbalzato il messaggio che due ricercatori del Dipartimento di Fisica dell’Università del Salento hanno calcolato per la prima volta la possibile presenza di un pianeta attorno a una stella che si trova nella galassia di Andromeda, quindi per la prima volta al di fuori della nostra Galassia, la Via Lattea. La ricerca è stata accettata per la pubblicazione dalla prestigiosa rivista britannica Monthly Notices della Royal Astronomical Society e gli autori sono Francesco De Paolis e Gabriele Ingrosso (dell’INFN di Lecce), Sebastiano Calchi Novati (dell’Università di Salerno) insieme a colleghi svizzeri, spagnoli e russi.
Abbiamo raggiunto De Paolis a Lecce e Achille Nucita dell’Agenzia Spaziale Italiana a Madrid, per avere direttamente da loro una valutazione realistica di queste ricerche e dei risultati raggiunti.
È già difficile pensare di individuare pianeti extrasolari nella Via Lattea: come vi è venuto in mente di cercarli anche in altre Galassie?
Lo scopo principale del nostro lavoro è quello di dimostrare la possibilità, mediante le tecniche attuali, di osservare oggetti di taglia planetaria nella galassia M31 (Andromeda) tramite l’effetto di lente gravitazionale. Poiché ci si aspetta che una frazione consistente delle stelle sia in un sistema binario (stella-stella ma anche stella-pianeta), ci aspettiamo anche che nelle curve di lente gravitazionale osservate esistano, nascosti, gli effetti di questa “binarietà”. Lo scopo principale del nostro lavoro è quello di definire le migliori strategie osservative per la ricerca di questi effetti.
A quale stella di Andromeda avete applicato il vostro modello e perché proprio a quella?
Non abbiamo applicato il modello ad una stella in particolare della galassia di Andromeda ma ad un evento di lente gravitazionale osservato nel 2004 nella galassia M31 che mostrava una deviazione rispetto alla curva di luce che si osserva nel caso in cui la lente gravitazionale sia costituita da un oggetto singolo. Il modello ci dice qual è la probabilità che la lente gravitazionale si trovi nella nostra galassia o in quella di Andromeda. In questo senso, il risultato ha validità dal punto di vista statistico, ossia esiste una certa probabilità che in quella direzione di vista si sia verificato un evento di lente gravitazionale causato da un sistema binario di oggetti. Esiste infine la possibilità che il sistema binario in questione sia costituito da una stella intorno alla quale orbita un oggetto di massa 6-7 volte la massa di Giove. Il compagno potrebbe quindi essere un grosso pianeta o una piccola stella ma non si può avere la certezza che si tratti di un pianeta.
Può spiegare il concetto di lente gravitazionale e la sua applicazione a questo problema?
L’effetto di lente gravitazionale è un effetto predetto da Einstein agli inizi del secolo scorso. Esso è una conseguenza diretta della Teoria della Relatività Generale. L’effetto, nel caso più semplice, consiste nell’amplificazione della luce proveniente da una stella lontana a causa della deflessione dei raggi luminosi ad opera di un corpo, massivo, che si frappone tra l’osservatore e la sorgente. L’oggetto massivo si comporta in questo caso da “lente gravitazionale”. È come se la gravità della lente focalizzasse i raggi luminosi della sorgente lontana sull’osservatore. L’effetto è temporaneo in quanto, a causa del moto relativo tra osservatore, lente e sorgente, le condizioni favorevoli alla sua osservazione scompaiono in poco tempo. L’effetto è anche molto poco probabile, basti pensare che nella direzione del centro della nostra galassia (dove le sorgenti abbondano) la probabilità di osservare un evento di lente gravitazionale è dell’odine di un decimilionesimo per stella e per anno. Vale a dire, occorre osservare più di un milione di stelle per alcuni anni per avere una chance di avere un evento di lente gravitazionale. Fortunatamente, le nuove tecnologie permettono di osservare allo stesso tempo questo grande numero di oggetti.
L’effetto di lente gravitazionale è importante per diversi motivi. Primo, permette di osservare alcune sorgenti deboli che altrimenti non sarebbero viste. Permette inoltre di “osservare indirettamente” la materia oscura di tipo barionico, ed infine, se la lente è un sistema binario, permette di misurare i parametri orbitali del sistema.
Quello che avete applicato è l’unico metodo possibile per rivelare pianeti extragalattici o ci sono altre piste percorribili?
Attualmente i metodi più convenzionali, quale i metodi detti dei transiti o delle velocità radiali, possono essere applicati solo a eventuali sistemi planetari nella nostra galassia.
I telescopi spaziali e in particolare quello che sostituirà Hubble nel 2013, possono dare contributi a queste ricerche?
Sì. Il JWST (James Webb Space elescope), il successore di Hubble, potrebbe svolgere un ruolo chiave nell’osservare questo tipo di eventi. In tutta onestà non siamo i primi a ipotizzare l’uso del futuro telescopio spaziale anche alla ricerca di pianeti extragalattici (si legga al riguardo l’articolo di Baltz e Gondolo del 1999).
Adesso come proseguiranno queste vostre ricerche? Cercherete pianeti in altre stelle di Andromeda o in altre galassie, o altro ancora?
Dal lato osservativo cercheremo di richiedere più tempo di osservazione su vari telescopi in modo da poter continuare la ricerca di eventi di micro lente verso M31. Dal punto di vista teorico, cercheremo di implementare nei nostri modelli degli effetti che sino a questo punto abbiamo trascurato e che potrebbero essere importanti in vista di future missioni spaziali.