Rivalutare la passione per i videogiochi, trasformandoli da passatempo a sistema per migliorare la propria visione. È quello che sembra mostrare un articolo apparso nel numero di maggio di Nature Neuroscience scritto da Gideon Caplovitz e Sabine Kastner, due ricercatori del Dipartimento di psicologia e del Neuroscience Institute dell’università di Princeton (Usa). I due neuroscienziati hanno studiato un particolare tipo di capacità visiva, la sensibilità al contrasto. Per sensibilità al contrasto si intende la capacità del nostro sistema visivo di distinguere due toni di grigio molto simili: si tratta di una abilità molto utile nella vita di tutti i giorni, dato che diventa ad esempio decisiva per distinguere gli oggetti all’imbrunire, nella nebbia o in una stanza poco illuminata.



Nella ricerca sono stati messi sotto esame due gruppi di persone, uno composto di appassionati giocatori di videogame e un altro formato da persone della stessa età ma per niente dediti a tale passatempo. I soggetti “giocatori” hanno tutti mostrato una migliore sensibilità al contrasto. Per confermare tale dato sperimentale i ricercatori hanno suddiviso ulteriormente il gruppo di non giocatori e hanno “costretto” una parte di loro a sedute intensive di videogame di azione (come quelli in cui si simula una partita di calcio o un combattimento) per un totale di 50 ore distribuite su nove settimane. L’altro gruppo si è invece cimentato su videogiochi di tipo strategico. I soggetti sottoposti all’intenso “allenamento attivo” hanno tutti dimostrato un miglioramento nella sensibilità al contrasto rispetto ai soggetti che si erano dedicati a videogame più “meditativi”.



Potrebbe sembrare uno studio simpatico e al limite utile nell’annoso dibattito tra genitori e figli sull’utilità di passare il tempo davanti a un videogame. In realtà vi sono anche delle implicazioni cliniche di interesse. La sensibilità al contrasto è una capacità molto utile, ma che può essere messa in crisi da alcune patologie, come ad esempio la cataratta, cioè l’ingiallimento del cristallino. Esistono già test che servono ad allenare questa capacità, ma si tratta generalmente di prove molto noiose basati sull’effettuazione di compiti ripetitivi e pochissimo “affascinanti”, come ad esempio riconoscere l’orientamento spaziale di un reticolo. Pensare che un paziente, invece di essere costretto a un’azione  ripetitiva, possa migliorare le performance tramite un videogame divertente semplifica il compito di chi deve rieducare la visione umana.



Un altro aspetto forse ancora più interessante emerge dalla lettura attenta dello studio dei due ricercatori americani. La ragione del miglioramento delle capacità visive sembra essere legata allo sforzo di attenzione che viene messo in moto dai videogame. Questo evidenzia il fatto che in molti casi si è persa la capacità di fare davvero attenzione a qualcosa per un periodo lungo di tempo. Quando questo accade, anche se magari grazie a un videogame invece che a un libro o alla contemplazione di un’opera d’arte, ciò non può che aiutare le persone nella comprensione del mondo circostante.

Forse il vero compito che abbiamo è tornare a fare attenzione al mondo che ci circonda, magari dedicandogli tempo, dedizione e un po’ di fatica.