Nei centri urbani del mondo sviluppato non è solo il traffico stradale a essere congestionato: lo sono spesso anche le reti di distribuzione dell’energia elettrica, la quale entra veramente in ogni aspetto della nostra vita quotidiana. Costruire nuove linee di trasmissione dell’elettricità in contesti urbani sempre più assetati di energia, risulta peraltro molto difficile, perché stendere nuovi cavi elettrici crea conflitti con le altre reti (gas, acqua, telefono, fognature) e disagi al traffico, ed è anche molto costoso. La congestione può risultare elevata non solo nei centri storici, ma anche in alcuni snodi periferici della rete ad alta tensione, nei quali si verifica la convergenza di molte linee e dove può essere ugualmente problematico trovare lo spazio e ottenere le autorizzazioni per nuovi elettrodotti. In tecnologia, per fortuna, la necessità è la madre dell’innovazione, così una possibile soluzione di questo problema è stata già trovata e sta finalmente entrando in una fase applicativa dopo qualche anno di sperimentazioni.
Si tratta dei cavi “superconduttori” che, invece del solito rame, utilizzano gli HTS (high temperature superconductors), cioè quegli strani materiali semi-ceramici, scoperti circa 25 anni fa, che manifestano una bassissima resistenza al passaggio della corrente elettrica già alla temperatura dell’azoto liquido (-193 °C). La superconduttività è una proprietà di alcuni materiali conduttori di elettricità scoperta fin dagli inizi del ’900: a temperature di pochi gradi sopra lo zero assoluto (-273 °C) in questi materiali la resistenza elettrica si annulla e si azzerano conseguentemente tutte le perdite di energia associate al passaggio della corrente. Ma avvicinarsi allo zero assoluto è molto difficile (bisogna utilizzare l’elio liquido) e pone un problema tecno-economico quasi insuperabile per utilizzi pratici estesi. Invece, potendo lavorare alla temperatura dell’azoto liquido i problemi sono più abbordabili.
Nonostante le difficoltà, i superconduttori “classici”, quali le leghe di niobio e titanio, sono già utilizzati in vari campi, per esempio nei magneti “superconduttori” degli apparecchi per la Risonanza Magnetica e, alle frontiere della ricerca scientifica, negli acceleratori di particelle del Cern di Ginevra e nelle grandi macchine dove si sperimenta la fusione nucleare. In questi casi, peraltro, gli spazi su cui si lavora sono modesti e confinati (anche se complessivamente estesi, come al Cern) e lavorare a temperature vicine alla zero assoluto è tecnicamente possibile. Ma se si vogliono realizzare dei cavi per il trasporto dell’energia elettrica le dimensioni lineari diventano un problema di ben altra portata. È qui che si presenta promettente l’utilizzo dei materiali HTS, che stanno ora cominciando ad entrare in uso dopo che sono stati risolti i problemi tecnologici della costruzione dei cavi e del loro mantenimento alla temperatura di liquefazione dell’azoto.
Circa un anno fa è entrato in servizio commerciale a Long Island (New York) il primo collegamento al mondo con cavi superconduttori, realizzato dalla statunitense American Superconductors (AMSC), per conto della locale autorità elettrica: è costituito da tre cavi superconduttori interrati, che connettono due elettrodotti trifase alla tensione 138 kilovolt, distanti fra loro circa 600 metri. Può sembrare un intervento di modesta lunghezza, ma la sua collocazione è significativa, trovandosi in uno snodo estremamente congestionato delle linee elettriche che servono l’area newyorkese. I cavi utilizzati, definiti di “seconda generazione”, sono di tipo coassiale e hanno una struttura mista in rame e materiale superconduttore. La loro capacità di trasporto di energia è superiore di 3-10 volte rispetto ai normali cavi in rame, dei quali hanno le stesse caratteristiche di resistenza meccanica e facilità di posa. Per mantenere la temperatura necessaria a creare l’effetto di superconduzione, al loro interno scorre azoto liquido che progressivamente evapora e va costantemente rinnovato con un apposito impianto di refrigerazione. In tal modo ovviamente si consuma un po’ di energia, ma meno di quella che sarebbe dissipata nel passaggio della stessa quantità di corrente in un cavo normale.
È facile comprendere che il sistema è abbastanza complesso e si presta, almeno per il momento, all’utilizzo su distanze non troppo grandi; ma l’azoto liquido è facilmente producibile, non inquinante e poco costoso, cosicché il costo di un collegamento a cavi superconduttori può in molti casi già ora giustificarsi.
Oltre a quello citato, altri progetti sono in corso di realizzazione nel mondo. Per esempio la società elettrica Kepco ha recentemente annunciato l’entrate in servizio, verso la metà del 2010, di un impianto a cavi superconduttori nei dintorni di Seoul, nella Corea del Sud: in questo caso si tratterà del collegamento fra due elettrodotti trifase a media tensione (22 kV), molto sovraccarichi, lungo circa 800 metri.
Se le prime applicazioni di cui si ha notizia sono per elettrodotti extra-urbani, il futuro prossimo dei cavi superconduttori è atteso soprattutto nelle reti elettriche di distribuzione urbane a media tensione; qui la soluzione con superconduttori si presenta particolarmente interessante nei tratti della rete dove già ora i cavi elettrici scorrono in cunicoli, ma dove non c’è spazio per ulteriori ampliamenti. Con uno, o con pochi, cavi superconduttori al posto dei numerosi esistenti si potrebbe infatti moltiplicare la capacità di trasporto senza costosi lavori di scavo e realizzazione di nuovi condotti. Ma anche per passare dalle poche centinaia di metri a qualche chilometro è necessario un salto nella tecnologia, non tanto dei cavi quanto dei sistemi di refrigerazione. Il mondo della ricerca è già all’opera in questa direzione.
Al di là dell’ambiente urbano, c’è poi chi sta già proponendo di utilizzare i cavi superconduttori per trasportare enormi quantità di energia elettrica prodotta in luoghi assolati, o ventosi, e deserti verso le aree di consumo. Benché non sia facile immaginare come si possa mantenere un cavo superconduttore alla temperatura dell’azoto liquido per centinaia o migliaia di chilometri, la tecnologia ci ha abituato a grandi imprese e non è quindi da escludere che ciò che ora ci sembra fantascienza si trasformi prima o poi in realtà.
Intanto il mondo degli affari prepara il terreno: è di questi giorni la notizia che un grande consorzio di società tedesche (tra cui Siemens, RWE, Munich Re e Deutsche Bank) si sta preparando a investire 400 miliardi di euro per realizzare centrali solari in Nord Africa, dalle quali l’elettricità potrebbe essere trasportata fino nel cuore dell’Europa. Non viene ancora detto come verrà effettuato il trasporto, ma è chiaro che simili progetti costituiranno un potente stimolo allo sviluppo di questa tecnologia.