Doloretti muscolari, alle articolazioni, primi brividi e giramenti di testa. È il preludio annuale, per lo più invernale, di quella malattia che prima o poi ci tocca tutti, l’antipatica influenza. Si prende un’aspirina, ci si convince che si tratta di stanchezza e si prova ad andare avanti qualche ora, ma alla fine ci si arrende chiamando chi in ufficio e chi a scuola e annunciando che per una settimana si starà sotto le coperte. Quest’anno però il consueto rituale potrebbe verificarsi ben due volte, se si escludono poi le sindromi parainfluenzali. La febbre suina infatti è ormai alle porte. Non sarà un’ecatombe apocalittica come molti media vogliono farci credere, ma che si tratti di una malattia da non sottovalutare è fuor di dubbio benché, come dice il professor Fabrizio Pregliasco, la sua mortalità sia inferiore a quella influenzale.



Era il mese di aprile quando tutto il mondo cominciò a preoccuparsi per le morti legate a questa nuova e misteriosa malattia esplosa in Messico. Fenomeno che andò via via scemando poiché, per fortuna, il virus si indeboliva trasmettendosi da persona a persona. Si corse subito ai ripari per isolare il contagio, ma tutto fu inutile. Ne abbiamo chiesto il motivo al professor Pregliasco



 

Quando si è cominciato a parlare di questa malattia sembrava ancora che la pandemia si potesse contenere, che cosa è successo?

C’è stata una notevole velocità di mutazione del virus che ha anticipato molto i tempi ai quali ci aveva abituato l’aviaria. Questa mutazione ha reso possibile un’ampia trasmissibilità umana del virus grazie anche al fatto che si tratta di un esemplare “nuovo”. Questo significa che ben poca  gente, virtualmente nessuno, possiede gli anticorpi contro questa malattia e quindi la sua capacità di creare casi in tutto il mondo diventa particolarmente elevata.



Che cosa intende quando dice che “eravamo abituati all’aviaria”?

L’aviaria, come l’influenza dei suini è un virus di origine animale. Da anni il virus dell’aviaria “tenta” di trasmettersi all’uomo. Dal ’97 abbiamo registrato solo 500 casi in tutto il mondo di questa malattia. Per quanto riguarda invece questa influenza la variante del virus ha avuto come ospite occasionale e casuale un suino messicano. Non c’è stata un’epidemia di influenza suina, ma solo un’occasione di ricombinazione che ha dimostrato subito una forte capacità diffusiva.

Lei aveva spiegato che passando da malato a malato il virus gradualmente si sarebbe attenuato, però si parla ancora di morti in molti casi, prevede che ci saranno ancora vittime in futuro?

La prima fase è stata la più pesante in termini di mortalità. Questo può anche semplicemente ricondursi al fatto si possono essere congetturate delle sopravvalutazioni: cioè collegamenti con patologie letali che ci sarebbero comunque state in un soggetto colpito dalla febbre suina.

È chiaro che poi a fare la notizia sono le morti e non le guarigioni. Si consideri però che adesso il tasso di mortalità di questa malattia è dello 0.04 per mille. È un tasso bassissimo, assai minore di quello di una normale influenza che è sull’1 per mille. La malattia in questione ci preoccupa non tanto perché è mortale, ma relativamente al numero possibile di casi previsti che potrebbero manifestarsi contemporaneamente all’influenza stagionale.  Si tenga conto che la scorsa influenza in tutto il mondo causò 5.000 decessi. Con l’aggiunta della “suina” il numero potrebbe raddoppiare, ma soprattutto si potrebbe verificare un’elevatissima cifra di allettati. Proviamo a pensare quello che può significare il 15% di una popolazione impossibilitata a lavorare per una o due settimane.

Si dice che il virus si farà sentire soprattutto questo inverno, è vero?

A questa domanda è quasi impossibile trovare risposta. In Italia, grazie ad un’esemplare e sistematica azione di individuazione e isolamento e ad un cordone sanitario efficiente, siamo finora riusciti a limitare la diffusione a circa soli 230 casi, di cui pochissimi a diffusione nazionale. In Inghilterra invece sono state già “mollate le redini”, nel senso che ci sono contagi che stanno crescendo in modo esponenziale nella popolazione generale. Direi che dopo questa prima ondata è probabile, ma non certo, che in inverno si avrà una progressione continua della diffusione.

Se esiste un vaccino perché non viene distribuito alla popolazione?

Il vaccino sarà pronto solo da ottobre in poi e verrà contingentato. La sua produzione infatti non è difficile, ma è lenta, perché ci vogliono uova “embrionate” di pollo le quali vanno sviluppate e prodotte. Dal mese di ottobre, come ha detto il ministro Sacconi, si avranno i vaccini, ma solo una quota di dosi che bisognerà contingentare. In questo caso si comincerà però dagli operatori sanitari che sono i veri soggetti a rischio e gli anziani saranno gli ultimi. Non si tratta di discriminazione o cinismo ma di strategia della sanità pubblica: con l’alta esposizione al virus e le percentuali che ho detto prima c’è infatti il serio rischio che crolli il sistema sanitario per assenza di addetti ai lavori.

Che cosa consiglia di fare a chi ha già contratto il virus?

Eviterei di fare come l’Inghilterra dove ora si svolgono addirittura delle specie di “suina party”, nella logica del “via il dente via il dolore”. Non la ritengo una strategia sensata. Comunque la malattia di per sé non è grave. Ovviamente occorre sempre il buon senso e quindi curarsi e agire come si fa quando si contrae un’influenza normale.