La Terra è l’unico “pianeta doppio” del sistema solare, l’unico cioè con un satellite di dimensioni paragonabili al pianeta stesso. Ci penso a volte quando guardo il disco bianco della Luna che rischiara le nostre notti terrestri. La Luna è un corpo relativamente grande e vicino, il gemello un po’ più piccolo della Terra. Questo fatto, tutt’altro che ovvio, ha molte e profonde conseguenze. Anzitutto, fin dalla preistoria l’uomo ha potuto godere di una lampada notturna, e ha potuto esercitare la sua immaginazione interrogandosi sulla natura di quel misterioso globo variamente illuminato. La Luna è sufficientemente grande e vicina che già ad occhio nudo possiamo scorgere qualche struttura sulla sua superficie, quelle macchie scure che tanto facevano discutere i medievali. E Galileo quattrocento anni fa con un rudimentale strumento poté scorgere crateri e montagne, svelando la natura “terrestre” della materia lunare. Non solo: senza una Luna grande e vicina probabilmente non saremmo qui. Infatti la sua presenza assicura alla Terra la stabilità dell’inclinazione dell’asse di rotazione, condizione necessaria per la stabilità del clima nei miliardi di anni richiesti dall’evoluzione biologica.



Ma c’è un’altra conseguenza: un satellite grande e vicino è più facilmente alla nostra portata! La Luna è abbastanza massiccia da poterci camminare sopra e la sua distanza, 380 mila km, non è affatto proibitiva. Già negli anni ’60, quando il sogno divenne realtà, una buona vecchia Volvo forse li percorreva nell’arco della sua carriera, e un aereo di linea ne faceva molti di più. Ma la distanza non è tutto, e la sfida fu arditissima: l’affidabilità del lanciatore, il calcolo delle velocità ottimali per uscire dal campo gravitazionale terrestre, la decelerazione per atterrare dolcemente sulla superficie lunare, lo sgancio e il riaggancio del LEM alla navicella madre, la traiettoria di rientro, e infiniti altri aspetti critici affrontati per la prima volta… fu un’impresa assolutamente straordinaria. E che emozione la prima impronta umana su un suolo extraterrestre, e la vista della sfera blu della Terra che incombe sull’orizzonte lunare. Immagini che dicono tutta la fragilità e la grandezza dell’uomo. Un punto di non ritorno.



L’uomo è attirato dall’altezza, dal rischio, dalla conquista, come sa bene ogni alpinista e ogni sportivo. E si sa che nell’alpinismo e nello sport c’è una componente di competizione che, per così dire, fa parte del gioco. Anche gli esploratori che secoli fa andavano alla scoperta di nuove vie di navigazione e alla conquista di “terre incognite” facevano a gara per chi arrivava primo. E fu una vera e propria (tragica) corsa quella fra la spedizione inglese di Robert Scott e quella norvegese di Roald Amundsen, che cent’anni fa portò alla conquista del Polo Sud. Ma nel caso della conquista della Luna la competizione fu di natura economica, tecnologica e soprattutto politica. Negli anni 60, in piena guerra fredda, era in gioco la supremazia fra Stati Uniti e Unione Sovietica. Nel 1957 l’URSS colse di sorpresa gli americani con il lancio dello Sputnik-1, il primo satellite in orbita intorno alla Terra, e solo due anni dopo ottenne con la sonda Luna-2 le prime immagini della faccia nascosta del nostro satellite. La sfida era lanciata. L’obiettivo Luna divenne subito una questione di prestigio, un risultato simbolico, un segno di supremazia planetaria.



Le motivazioni dunque non furono di tipo scientifico. Del resto, come mai dopo quarant’anni non si è più tornati lassù? Il fatto è che dal punto di vista della conoscenza mandare alcuni uomini a camminare sulla Luna non ha portato granché di nuovo. Così, dopo la prima storica impresa dell’Apollo 11, le altre cinque spedizioni lunari sono passate un po’ in sordina (a parte la drammatica avventura dell’Apollo 13…). Una volta piantata la bandiera americana, per 40 anni nessuno ha più seriamente proposto di tornarci. Certo il programma Apollo diede un enorme slancio allo sviluppo di nuove tecnologie e dell’informatica, con ricadute straordinarie in campo spaziale, civile e naturalmente militare. Ma fu immediatamente chiaro che la Luna, per quanto vicina e compagna della Terra, è un posto altamente inospitale.

La NASA ha poi continuato a investire sulle spedizioni umane con il programma Shuttle e la Stazione Spaziale Internazionale, anche in collaborazione con l’ESA. Uno dei risultati emersi con chiarezza è la difficoltà per l’uomo a reggere lunghe esposizioni all’ambiente spaziale privo di gravità e di campo magnetico. Oggi i paesi emergenti, sopratutto la Cina, stanno pensando a un programma umano sulla Luna, e la NASA intende rispondere con la proposta di una base lunare permanente. Ma ne vale davvero la pena? L’amministrazione Bush aveva rilanciato con l’idea dello sbarco umano su Marte. Ma al di là dei proclami mediatici le prospettive sono scarse perché un viaggio su Marte sarebbe difficilissimo, con costi e rischi monumentali, e pressoché inutile dal punto di vista conoscitivo: del tutto inefficiente rispetto a programmi basati su sonde strumentali robotizzate.

Subito dopo la conquista della Luna molti esperti prevedevano che “nel 2000” l’uomo sarebbe arrivato su Marte, su Venere, su Titano, e forse oltre. Siamo quasi nel 2010 e non solo nulla di tutto ciò è successo, ma di fatto ci siamo garbatamente ritirati anche dalla Luna. E questo non per mancanza di coraggio o d’ingegno, ma perché oggi siamo più consapevoli di come stanno le cose. Ci si è resi conto che far sopravvivere l’uomo a lungo nello spazio è molto difficile e costoso, e per il momento non aggiunge molto alle nostre conoscenze. È auspicabile che questo sano realismo continui e aumenti, e che nei prossimi decenni (poi si vedrà…!) si favorisca lo sviluppo di satelliti con strumenti di osservazione e dispositivi robotizzati, più adatti dell’uomo a lavorare nello spazio, capaci di studiare l’universo profondo, il sistema solare, e la Terra. La nostra Terra, il gemello grande del pianeta doppio, che da quel 20 luglio 1969 ci appare sempre più come una vera e propria gemma del cosmo.