Riflettori verdi puntati sull’Europa in questa estate 2009.
Anzitutto per alcuni summit che potrebbero ridisegnare gli scenari delle previsioni e dei provvedimenti atti a contrastare la minaccia dei cambiamenti climatici. Si è appena concluso a Stoccolma un workshop informale sul clima per i negoziatori degli stati membri dell’UE, organizzato dalla nuova Presidenza Svedese dell’UE: l’incontro ha avviato una discussione strategica sugli aspetti connessi al processo negoziale in corso verso un consenso su nuovo accordo internazionale sui cambiamenti climatici da raggiungere in dicembre a Copenaghen con la Conferenza della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC).
Sempre in Svezia e sempre su iniziativa della Presidenza UE, il 23 e 24 luglio si incontreranno ad Åre i Ministri dell’Energia per il primo Consiglio Energia informale; e in sequenza, il 24 e 25 luglio, i Ministri dell’Ambiente si incontreranno nella stessa cittadina per il primo Consiglio Ambiente informale. Nell’ambito delle riflessioni più generale circa un’economia eco-efficiente, i ministri metteranno all’ordine del giorno il coordinamento delle agende politiche sui cambiamenti climatici, l’efficienza energetica, l’innovazione e la competitività per sfruttare le sinergie esistenti, crearne di nuove per poter assicurare la crescita e la sostenibilità.
Nel frattempo a Venezia 200 scienziati esperti nelle varie tematiche riguardanti dei cambiamenti climatici, dopo cinque giorni di intenso lavoro hanno elaborato un documento (AR5 Scoping Paper) che contiene gli obiettivi e la timeline del prossimo rapporto dell’IPCC, con una prima versione della lista dei capitoli per i tre volumi del rapporto. Il testo è riservato ed è all’esame dei vari governi membri dell’IPCC, ma dato che il suo contenuto si basa sulla revisione della letteratura scientifica climatica prodotta recentemente, non è difficile intuire che una maggiore enfasi sarà posta sulle proiezioni del clima a breve termine e su scala regionale e che sarà data una maggiore attenzione alla valutazione dei costi delle politiche climatiche.
Fin qui, l’attività convegnistica.
Ma ci sono anche i risultati di alcuni studi scientifici che, mentre confermano le preoccupazioni per lo stato dell’ambiente del Vecchio Continente, aprono qualche scenario positivo: come quelli contenuti nel rapporto della Commissione Europea sullo stato di conservazione delle specie e dei tipi di habitat protetti dalla Direttiva Habitats (Composite Report on the Conservation Status of Habitat Types and Species as required under Article 17 of the Habitats Directive). La relazione si riferisce al periodo 2001 – 2006 e riguarda 1182 specie e 216 tipi di habitat: rappresenta l’analisi più completa mai effettuata sulla biodiversità nell’UE e costituisce una base di partenza per comprendere le tendenze future.
Secondo il rapporto, gli habitat e le specie vulnerabili con uno stato di conservazione definibile “buono” rappresentano solo una percentuale ridotta di quelli analizzati, perciò gli stati membri dovranno impegnarsi per migliorare la situazione. Gli habitat erbosi, le zone umide e gli habitat costieri sono quelli maggiormente sotto pressione, soprattutto a causa del declino dei modelli agricoli tradizionali, dello sviluppo turistico e dei cambiamenti climatici. Ad esempio, delle zone tipicamente associate al mondo agricolo solo il 7% ha ottenuto una valutazione favorevole (contro il 21% per gli habitat non agricoli)
Vi sono comunque alcuni segnali positivi. Alcune specie particolarmente rappresentative (per esempio il lupo, la lince eurasiatica, il castoro e la lontra) stanno cominciando a ricolonizzare una parte del loro territorio tradizionale.
Inoltre, molti stati membri hanno investito in modo significativo nel monitoraggio: si stanno riducendo gli habitat e le specie per le quali manca una adeguata documentazione e, nonostante alcune lacune informative (soprattutto in alcune regioni del Sud Europa), la comunicazione dei dati ha prodotto esiti molto positivi.