La caccia al bosone di Higgs, quella che ormai è nota come “particella di Dio”, non aspetta che venga riavviato, nel prossimo ottobre, l’acceleratore LHC del Cern di Ginevra. In tanti laboratori e centri di ricerca sparsi nel mondo, fisici di ogni nazionalità stanno lavorando ai diversi aspetti connessi con un’impresa così gigantesca. Come Paolo Bolzoni, giovane fisico italiano in forza al laboratorio DESY di Berlino, dove studia uno dei fenomeni di “background” della produzione del bosone di Higgs, cioè la produzione di coppie di quark top.



Bolzoni ha nel suo itinerario scientifico una tesi di laurea sui buchi neri in supergravità e una tesi di dottorato su un tema di cromodinamica quantistica (la teoria che descrive la forza nucleare forte, all’interno dei nuclei atomici) e a Berlino sta lavorando proprio in quest’ultimo campo, su un complicato problema matematico. È però molto attratto dalla grande avventura della particella di Higgs e ci spiega perché è così difficile stanarla. 



«All’interno del cosiddetto modello standard – cioè la teoria quantistica e relativistica attualmente più accreditata per la descrizione delle interazioni fondamentali della materia – il bosone di Higgs è l’unica particella che non è ancora stata osservata negli acceleratori. La conferma circa l’esistenza di tale particella ci porterebbe a comprendere l’origine della massa dei corpi come effetto dell’interazione con essa. D’altra parte anche l’eventuale conferma della sua non esistenza sarebbe tutt’altro che una delusione per i fisici. Infatti la validità del modello standard è confermata ormai da migliaia di differenti misure e se il bosone di Higgs non dovesse essere reale, ciò implicherebbe l’esistenza di una struttura fisica diversa ma che si manifesti con gli stessi effetti. In tale scenario infatti si dovrebbe ammettere che la struttura del vuoto (che comprende lo spazio, il tempo e i campo quantistici) sia molto più ricca di quanto oggi ne abbiamo conoscenza».



Il motivo per il quale non si sia ancora in grado di stabilire l’esistenza di tale particella è duplice: anzitutto perché gli effetti del bosone di Higgs nelle collisioni tra particelle negli acceleratori sono molto piccoli rispetto ad altri già osservati; poi perché tali effetti sarebbero comunque di difficile rilevazione anche se non fossero piccoli, in quanto anche altre interazioni già note danno origine alle stesse reazioni tra le particelle.

Tutto ciò comporta che negli acceleratori le reazioni dovute al bosone di Higgs sono “abbagliate” da processi dovuti a interazioni note, come per esempio l’interazione cosiddetta “forte”, cioè quella che tiene insieme i nuclei atomici. «Facciamo un’analogia: rilevare il bosone di Higgs in un acceleratore sarebbe come voler riconoscere una candela accesa appoggiata su di un tavolo in fiamme. Per distinguere tale fiammella come prima cosa si potrebbe prendere una candela con una fiammella più intensa. La seconda potrebbe essere quella di fotografare tutto l’incendio con una fotocamera digitale e sottrarre con l’uso di un programma l’immagine dovuta alle fiamme prodotte dal solo legno. Naturalmente per fare questo deve essere noto il tipo di legno, l’intensità e il colore della fiamma che esso produce». Nel linguaggio della fisica delle particelle la luce della candela viene detta “segnale” mentre le fiamme del tavolo costituiscono il “background”.

Negli acceleratori di particelle, come l’LHC del Cern, uno degli obiettivi principali è l’estrazione del segnale del bosone di Higgs dal background prodotto dall’interazione forte. L’intensificazione del segnale è realizzata aumentando l’energia delle collisioni: a LHC per esempio le collisioni tra protoni che riprenderanno tra pochi mesi saranno alle energie mai raggiunte prima in un esperimento. Invece la sottrazione del background si realizza calibrando i rivelatori a medio-bassa energia e grazie a una conoscenza teorica sempre più precisa delle reazioni prodotte dalle interazioni note.

Qui si collocano le ricerche dei fisici come Bolzoni. «Nel mio lavoro nel laboratori di DESY mi occupo principalmente del controllo teorico su quella parte del background costituita da quark top. I quark sono i costituenti ultimi della materia ordinaria, quella di cui sono costituiti per esempio i protoni del nucleo atomico. Tra tutti i tipi di quark, il top è quello con la massa più grande. Ancora più in particolare, mi occupo di tecniche di calcolo per ottenere previsioni sul background di quark top sempre più precise. Tale precisione aumenta con l’accuratezza con cui si tiene conto di effetti quantistici nei processi a scala sempre più piccola».

La strada per accogliere l’atteso arrivo del fantomatico bosone si sta quindi spianando: resta ora da attendere che nei tunnel del Cern il grande collisionatore faccia partire il folle volo incrociato delle particelle.

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