Quando San Paolo si convertì sulla strada per Damasco, i cristiani erano ancora un gruppo tutto interno al giudaismo. Come sappiamo, però, San Paolo capì presto l’universalismo del messaggio di Gesù e fu artefice della diffusione del cristianesimo fra i pagani. Il grande successo della sua predicazione è dovuto anche al fatto che l’apostolo delle genti sceglieva con cura i luoghi più frequentati, le persone più influenti, le città più popolose ed importanti. In termini moderni, diremmo che San Paolo “pensava al network”.



Questo è uno degli esempi che Albert-László Barabási, della Northeastern University a Boston, usa per spiegare un modo diverso di guardare la realtà che ci circonda. Internet, la società, le interazioni all’interno di una cellula, la trasmissione di energia elettrica: sono tutti esempi di reti. Nell’ultimo decennio la cosiddetta “scienza delle reti” (network science) ha conosciuto uno sviluppo straordinario. Che cosa hanno in comune il network di interazioni fra proteine in una cellula, Internet e la rete di collaborazioni fra gli attori di Hollywood? Una delle scoperte più sorprendenti è stata che questi tre network (e molti altri) hanno proprietà strutturali simili: la maggior parte dei nodi ha pochi link, ma una piccola frazione di nodi (hubs) ha tantissime connessioni.



Una delle ragioni di questa struttura è legata all’evoluzione della rete. I nodi che si aggiungono al network tendono a connettersi preferenzialmente ai nodi più interconnessi. Grazie a queste proprietà, per esempio, si è scoperto che è più efficace vaccinare le persone partendo dalle frequentazioni di un individuo e procedendo di amicizia in amicizia – raggiungendo rapidamente gli hub -, piuttosto che scegliere un campione casuale della popolazione. D’altra parte, forse non sapete che, chiunque voi siate, esiste una catena di conoscenze fra voi e me (o chiunque altro nel mondo) che ci connette in non più di sei passaggi. Questa proprietà si chiama “effetto del mondo piccolo” e ha importanti conseguenze sui processi di diffusione di informazione nel network.



Partecipando a una conferenza di scienza dei network, può stupire il fatto che in una disciplina che sembra più legata agli epidemiologi o ai sociologi siano coinvolti così tanti fisici e biologi. La ragione va cercata in un atteggiamento culturale sviluppatosi negli ultimi anni. La scienza del XX secolo si è focalizzata soprattutto nello “spezzettare” la realtà nei termini più elementari e nel capire, per esempio, le parti costitutive più fondamentali della materia. Rimettere insieme i pezzi, per studiare invece i sistemi macroscopici che ci circondano, risulta relativamente facile quando si considerano sistemi completamente casuali, come i gas, oppure sistemi ordinati, come i cristalli dove gli atomi si dispongono in reticoli periodici. In mezzo a questi due estremi stanno i cosiddetti sistemi complessi: ad esempio le molecole di un gel si organizzano in strutture reticolari che non sono né ordinate, né casuali; e le cellule sono descrivibili come particolari reti di molecole connesse da reazioni biochimiche.

Per questo è emersa sempre più l’importanza delle interazioni fra le componenti di un sistema complesso. La scienza delle reti nasce da questo diverso punto di vista. Così, molti fisici abituati a modellizzare magneti o vetri hanno trovato naturale interessarsi anche ai network e studiarli con i metodi della fisica statistica.

Anche i biologi sono sempre più interessati a questa disciplina. Gli sforzi fatti finora hanno creato delle mappe per cominciare a capire le complicate catene che regolano la sintesi delle proteine. È stato un po’ come disegnare piante stradali di una città. Quando anche i processi dinamici, cioè i flussi di traffico in queste vie cellulari, saranno compresi, probabilmente la cura per il cancro sarà più vicina.