Qualche mese fa ho scritto sul Sussidiario [leggi qui] che il bando di alcuni insetticidi (dei neonicotinoidi, per la precisione) usati per conciare le sementi di mais non era giustificato su base scientifica e che la politica avrebbe fatto bene a prendere decisioni sulla base delle migliori informazioni a disposizione e non in base ad apparenti coincidenze.
Ora sembra che quella decisione ci costerà cara, molto cara e che la sindrome delle cicogne e delle culle vuote ha colpito ancora. Il mais in molte zone della pianura Padana sta soffrendo molto per l’attacco della diabrotica [leggi qui], un insetto le cui larve mangiano le radici del mais. E’ chiamato “corn rootworm”, cioè verme delle radici del mais, perchè si ciba appunto delle radici di tal pianta. Il primo attacco avviene a livello delle piantine piccole la cui crescita o stabilità è compromessa e rischiano addirittura di cadere perchè non hanno più ancoraggio al terreno [guarda la foto]. Successivamente gli insetti adulti compromettono anche l’impollinazione, così che il danno alla produzione può arrivare tranquillamente al 50%. Fino all’anno scorso questo insetto era presente ma non faceva molto danno. Come mai quest’anno è saltato fuori prepotente? L’interpretazione degli esperti [leggi qui] è che, bandendo la concia delle sementi con gli insetticidi neonicotinoidi, non si è avuta la protezione delle piantine ai primi attacchi. Per la stessa ragione sono inoltre saltate fuori anche altre malattie legate ad insetti che parevano scomparse da tempo.
Nel Nord Italia () abbiamo circa 1 M ha di mais che producono intorno a 100 q per ettaro (ha). Assumendo che la perdita di produzione media a livello nazionale sia il 10% e con un prezzo del mais di 15 euro a quintale, il conto è presto fatto: 0.1 x 1.000.000 x 15 x 100 = 150 milioni di €. E’ una bella cifra già di per sè in tempi normali, immaginate in tempi di crisi quando i margini di manovra sono già ridotti. Adesso potete capire perchè gli americani chiamano la Diabrotica “a billion dollar bug” (l’insetto da un miliardo di dollari). I contadini rischiano di perderci e pesantemente. Ovviamente se la perdita media fosse del 20 o del 30% la cosa peggiorerebbe, ma adesso non è possibile prevedere il risultato finale. E’ però chiaro che la lotta a questo insetto adesso è oltremodo difficile: come fate a combattere un insetto che si annida sotto terra? Ci sono insetticidi, ma il trattamento non è facile, è costoso e i risultati limitati. Inoltre se i neonicotinoidi erano stati banditi per proteggere le api, perché non si applica lo stesso principio adesso, quando il trattamento è molto più massiccio e avviene all’aperto, mentre prima era ridotto come quantità e dispersione nell’ambiente perché solo sulla semente che viene interrata?
Ci sono alcune opzioni per cercare di contrastare l’insetto (tralasciando la concia delle sementi, ovviamente) alcune impossibili a stagione iniziata. La prima è la rotazione della coltura (non seminare mais sullo stesso terreno ogni anno). L’altra opzione, già accennata, è il trattamento con pesticidi. Ne esiste un’altra, di cui però non si può parlare. Una ditta ha già da anni sul mercato un mais transgenico resistente all’insetto, ma in Italia non è coltivabile proprio perchè transgenico. Stesso discorso per un’altro mais ingegnerizzato per resistere alla Piralide, altro insetto che danneggia il mais e che spesso comporta l’accumulo di alcune micotossine nella pannocchia, un altro grosso problema per la maiscoltura italiana.
Quello che la Coldiretti regionale della Lombardia [leggi qui] invoca, dopo che questo sindacato ha per anni montato a livello nazionale una campagna contro i transgenici, è “di mettere in campo iniziative istituzionali straordinarie per rendere più efficaci le iniziative volte al contenimento delle infestazioni e per sostenere le aziende colpite, che vivono una situazione congiunturale già molto critica, con uno stanziamento di adeguate risorse finanziarie in grado di far fronte ai danni subiti ed ai maggiori costi di produzione”. Sul contenimento delle infestazioni c’è poco da sperare, visto che poche righe prima ammette che i trattamenti sono costosi, poco efficaci e se ne possono fare pochi sul territorio. Quindi cosa rimane? L’intervento dello stato Pantalone che paga. Insomma qui non si parla di sussidiarietà, ma di sussidi, punto e basta.
Molti sindacati e organizzazioni (un esempio lampante: Slow food) invece di straparlare di tipicità e difesa dei prodotti italiani, sarebbe ora che incominciassero a ragionare sui dati e sui problemi del mondo agricolo reale. E a fare innovazione senza applicare il principio di precauzione a proprio piacimento. La produzione di mais ci serve per fare anche tutti quei prodotti tipici di cui tanto ci vantiamo. I dati ufficiali [leggi qui] della banca dati della FAO (vedi in tabella i dati del 2006) dicono che importiamo ogni anno 4 Milioni di tonnellate di soia e derivati, transgenici tra il 50 e il 100%, che usiamo nella nostra zootecnia, ad esempio per fare il Parmigiano Reggiano. Quindi pretendere di essere una nazione GM-free è perlomeno essere disinformati e molto più probabilmente ipocriti.
La cosa peggiorerà ulteriormente quest’anno perché saremo costretti ad importare altro mais, magari 1 o 2 Mt, parte del quale probabilmente trangenico. Potremo dare questo mais alle nostre bestie, ma non sarà possibile coltivarlo, chiudendo così il cerchio dell’ipocrisia. Infatti, se facesse male non dovrebbe esserne permessa l’importazione, mentre, se il problema fosse la coltivazione, perché “esportiamo” problemi verso altri paesi?
E cosa dire dei politici che hanno bandito i neonicotinoidi [leggi qui] sulla base di rumori di piazza e di coincidenze traballanti, ma in assenza di un vero processo decisionale razionale basato sulle migliori informazioni? Per essere espliciti, on. Zaia (Ministro dell’agricoltura) adesso chi paga? Alla fine sarà facile cedere ancora una volta alle pressioni della piazza e decidere di usare soldi pubblici per compensare gli agricoltori, ma al contribuente medio, come me, queste politiche stanno molto antipatiche. Chi si comporta così, non paga per i propri errori, fa pagare gli altri. La stessa cosa per i sindacati agricoli che prima frenano l’innovazione e la ricerca e poi chiedono che lo stato sovvenzioni la loro insipienza. Senza scelte sensate e coraggiose, il destino dell’agricoltura italiana non sarà molto roseo.