Dal movimento dei muscoli nel corpo umano fino alla fotosintesi delle piante con la luce solare: sono numerose le macchine molecolari naturali che agiscono all’interno degli organismi viventi utilizzando varie forme di energia biologica per produrre movimenti utili alla vita. Ma gli scienziati non sono soddisfatti e cercano di imitare queste strutture per svilupparne altre più semplici e completamente artificiali, che operano mediante gli stessi meccanismi.



È il caso dei ricercatori coordinati dalla UE nell’ambito del progetto Mechmol che stanno studiando la possibilità di costruire molecole legate meccanicamente in grado di convertire la luce ricevuta da una fonte esterna in moto browniano tramite il quale trasportare carichi macroscopici (si fa per dire) all’interno dei sistemi viventi. Il moto browniano è quel fenomeno fisico, studiato già nell’800 ma spiegato da Einstein un secolo fa, che descrive il moto disordinato delle molecole in un liquido e vien emesso in evidenza osservando lo spostamento, apparentemente senza causa, di piccole particelle sospese. Ebbene, controllando in un certo modo il moto browniano, si potranno realizzare macchine molecolari artificiali capaci, ad esempio, di indirizzare il movimento dei farmaci nel corpo umano per raggiungere il punto esatto dove devono agire. Dei veri e propri shuttle molecolari, pronti ad intervenire secondo una tabella oraria regolare e programmata.



Inoltre, si potrebbero utilizzare dei materiali intelligenti che potrebbero cambiare dimensioni o conduttività elettrica premendo un interruttore. La progettazione, la sintesi e lo studio di sistemi chimici in grado di funzionare come macchine molecolari è quindi di interesse non solo per la ricerca di base, ma anche per il progresso della nanotecnologia.

Anni di ricerca hanno permesso ai partner del progetto Mechmol dell’università di Edimburgo di avere un livello di controllo senza precedenti sul metodo di costruzione delle macchine molecolari: hanno infatti sviluppato una tecnica per coprire una superficie d’oro con un singolo strato di molecole molecole organiche formate da una struttura lineare e da un anello circuitante, dette rotassani. Il trasporto di una gocciolina di pochi microlitri è stato possibile usando il moto browniano frazionario dei rotassani per esporre o nascondere i residui di altri composti detti fluoroalcani e quindi per modificare le proprietà superficiali. La superficie reattiva alla luce è stata irradiata con un raggio di luce ultravioletta, concentrato su un lato della goccia: questo ha creato un gradiente nelle proprietà superficiali lungo la goccia.



La superficie reattiva alla luce si è dimostrata stabile ed è stata quindi usata ripetutamente per esperimenti di trasporto con gli stessi risultati anche dopo diversi minuti di irradiazione ultravioletta. Ciononostante, è stato studiato se siano le reazioni fotochimiche e non solamente il trasporto di rotassani fluorinati a contribuire ai fenomeni osservati. Dei campioni preparati appositamente sono stati esposti a luce ultravioletta a lunghezze d’onda superiori a 240 nanometri per diversi periodi di tempo e l’ossidazione dello zolfo è stata monitorata tramite spettroscopia di fluorescenza. Solo dopo quindici minuti di radiazione continua è stato possibile identificare i primi segni di degradazione con sicurezza, pertanto gli esperimenti di trasporto si possono effettuare in questo intervallo di tempo.

Questi sistemi chimici vengono già considerati un prototipo per il funzionamento delle macchine molecolari. Le applicazioni previste includono l’uso della modifica della posizione delle subunità come interruttore minuscolo per variare le proprietà fisiche come la fluorescenza.

(Mario Gargantini)