Da Milano a Copenhagen, passando dal Ruwenzori e dal Karakorum: è l’itinerario ideale del Festival Internazionale dell’Ambiente, che è iniziato ieri e proseguirà per quattro intense giornate con un susseguirsi di convegni, ma anche di eventi partecipativi e spettacolari. Questa edizione, promossa da Legambiente e L’Umana Dimora insieme a Camera di Commercio di Milano, Comune di Milano, Provincia di Milano, Regione Lombardia, Expo Milano 2015 ha come titolo “Energy for Life” e consentirà un’esplorazione dei temi principali connessi al binomio energia-ambiente: dalle politiche internazionali adottate per contrastare i cambiamenti climatici, all’uso intelligente e consapevole delle fonti energetiche.



Ma torniamo all’itinerario iniziale. Partenza da Milano, perché è lì che si svolge il Festival. Arrivo a Copenhagen perché, fin dal convegno inaugurale di ieri mattina, sono stati anticipati gli argomenti che saranno all’ordine del giorno al COP 15, il prossimo dicembre a Copenaghen, con l’obiettivo di riformulare gli accordi di Kyoto. Tra questi due poli, insieme ad altri appuntamenti, in primo piano la montagna in due eventi proposti da L’Umana Dimora questa mattina e domenica sera alla Triennale.



A Giorgio Vassena, Presidente dell’Umana Dimora, abbiamo chiesto un commento a queste iniziative.

Nel promuovere il Festival dell’Ambiente, cosa più vi interessa mettere in evidenza?

L’Umana Dimora è da anni impegnata in programmi di educazione ambientale, in attività di ricerca e studio, nello sviluppo di una rete tra persone, enti ed associazioni che abbiano a cuore l’ambiente. L’ambiente ha come protagonista l’uomo, dunque la cura dell’ambiente coincide anzi nasce dall’attenzione all’uomo, centro e unico attore consapevole del mondo. Di fronte al rischio di una burocratizzazione e spersonalizzazione dell’attenzione all’ambiente, che rischia di porre l’uomo più come fattore di disturbo che come principale protagonista del rapporto con l’ambiente, abbiamo organizzato un Festival che mostri a tutti realtà, persone, esperienze. L’ambiente naturale, se vissuto e incontrato tramite persone che lo vivono con attenzione e stima, trasmette automaticamente una esperienza di bellezza e di corrispondenza tale che ogni uomo naturalmente si trova a rispettarlo. Dunque il rispetto dell’ambiente come naturale risvolto dell’incontro con persone innamorate e affascinate dalla bellezza. Su questa impostazione è stato facile incontrare anche le istituzioni, che si sono trovate in linea con il desiderio di valorizzare le esperienze e le storie di rapporto sano e vero con l’ambiente.



Ecco dunque il nostro Festival, che si presenta ricco di incontri: con chi ha vissuto l’ambiente in modo estremo, come con la Fondazione Sella, che conserva la documentazione fotografica di Vittorio Sella che un secolo fa rese arte l’attività di documentazione fotografica delle spedizioni del Duca degli Abruzzi; o come Filippo Ciantia, che in anni di lavoro nella cooperazione internazionale in Africa si è lasciato affascinare da progetti di educazione che partissero dalla valorizzazione dell’ambiente delle stupende montagne del Rwenzori. Un Festival vissuto, in cui è possibile partecipare ad attraenti escursioni nell’ambiente montano ma anche mettere le basi perché le competenze presenti sul territorio si incontrino e inizino a confrontarsi, in tavoli di lavoro come quello dei direttori dei parchi regionali lombardi.

Sullo sfondo del Festival c’è il tema dei cambiamenti climatici: l’alternativa è solo tra catastrofisti e negazionisti o si possono trovare posizioni più articolate?

Il cambiamento climatico è una realtà visibile da tutti e non negabile. Gli studi hanno dimostrato che storicamente l’aumento di CO2 è una conseguenza dell’aumento della temperatura. Ora però ci troviamo con concentrazioni di gas serra nell’atmosfera, di sicura origine antropica, che hanno raggiunto livelli incredibilmente alti e mai raggiunti nella storia. Se dunque l’effetto serra è un fenomeno fisico, come è, è altamente probabile che il riscaldamento globale a cui assistiamo sia correlato alle concentrazioni di CO2. D’altro canto anche una radicale diminuizione delle emissioni non sarà in grado di diminuire la concentrazione ora raggiunta. Dunque è probabile che il danno sia già stato fatto e le nuove pratiche e l’utilizzo delle energie alternative dovrebbe permettere di limitare le conseguenze ma non certo di invertire il trend. Dunque un sì certo all’utilizzo delle fonti di energia rinnovabile, ma un richiamo a investire risorse non solo nella riduzione delle emissioni ma anche e soprattutto nel come mitigare gli effetti dei cambiamenti del clima sulle popolazioni, in particolare in via di sviluppo. “Feed the Planet”, dare da mangiare al pianeta. Questo motto dell’Expo ci interessa particolarmente perché pone al centro dell’attenzione l’uomo; dunque quello che il Festival evidenzia è un lavoro comune per aiutare a far sì che la presenza dell’uomo sul pianeta, lo sviluppo di tutte le popolazioni possa continuare in armonia e sintonia con il creato.

E’ anche per questo motivo che L’Umana Dimora lavora da anni nello studio dei cambiamenti climatici, con spedizioni scientifiche che si sono svolte anche a livello internazionale sui ghiacciai himalayani e africani. E’ di questo agosto l’inaugurazione di una fitta rete di stazioni meteorologiche che si dipana dalla pianura fino alla vetta posta a 5.000 metri della catena del Rwenzori, dove resistono le ultime importanti masse glaciali del continente africano.

Vorremmo lasciare ad altri il dibattito “accademico” tra catastrofisti e negazionisti, per farci attrarre dallo studio di cosa sta accadendo nel nostro pianeta e come aiutare a far sì che le variazioni del clima diventino possibilità di crescita e non un calamità per tutti i popoli del pianeta.

 

Sottotitolo del Festival è Energy for Life: cosa ne pensa dell’attuale dibattito sulle fonti energetiche?

 

L’energia è vita, l’ambiente è vita. Troppo spesso si demonizzano alcuni processi energetici a favore di altri, apparentemente puliti. Ogni attività umana ha un’impatto, dunque piuttosto che battaglie contro alcune tecnologie, è necessario realizzare tavoli di lavoro, in cui invitare esperti per verificare con chiarezza quali sono le tecnologie migliori, o meglio come armonizzare le tecnologie esistenti per un minimo impatto ambientale e per permettere, contemporaneamente un corretto sviluppo economico. L’economia purtroppo, e lo abbiamo visto di recente, è fonte spesso di grandi disastri. Se il criterio è il puro profitto, reso astratto e slegato dalla realtà, da una visione globale del reale, quello che accade è la creazione di processi industriali dissennati. Dunque una totale apertura alla tecnologia, alla mente dell’uomo che, se si lascia veramente guidare dalla realtà e dalla bellezza dell’ambiente, è in grado, con intelligenza e razionalità, di giungere a soluzioni in grado di preservare l’ambiente ma in contemporanea di garantire l’energia che l’uomo ha bisogno per la propria salute e per la vita.

 

In queste giornate voi proporrete interessanti appuntamenti sul tema della montagna: come mai questa sottolineatura?

 

Perché la montagna è il luogo in cui molti di noi hanno cominciato ad amare l’ambiente, attraverso amici appassionati. Dalle passeggiate e scalate in montagna, i soci dell’Umana Dimora hanno spesso trasportato questa passione nel mondo dello studio, anche in collaborazione con gli amici del Club Alpino Italiano e con ricercatori di diverse università italiane e straniere. Sono nate ricerche di alto profilo internazionale, spesso localizzate sulle più alte montagne del pianeta. La bellezza della montagna è una bellezza delicata, in un ambiente in cui piccoli cambiamenti possono causare tragici disastri. Si pensi ad alcune montagne africane, in cui le piante presenti in quota vivono in ambiente ad alta umidità e a temperature estremamente regolari e dove una variazione di pochi gradi di temperatura porterebbe alla totale distruzione della flora ad alto fusto. Oppure si pensi agli effetti disastrosi di un’inondazione, causa di inneschi di frane e dissesti. Dunque le montagne come indicatore climatico, ma anche come luogo dove poter iniziare a sperimentare nuovi modelli di sviluppo e di utilizzo del suolo, anche perché le genti di montagna sono in tutto il mondo abituate alla fatica della vita e dunque sempre pronte, perché fa parte della loro cultura, a ripartire, a ricominciare.

Ecco perché nel festival proponiamo l’incontro con la montagna, con le persone di montagna e con chi della cura dei popoli di montagna ha fatto una ragione di vita, come Tom Stacey, scozzese, che ha passato una vita con il popolo delle montagne dell’Uganda, diventando il principale attore della riscoperta della propria cultura da parte del popolo Bakonjo che vive su quelle montagne. Un racconto affascinante di una esperienza di educazione di un popolo, intesa per quello che veramente è l’educazione, cioè la riscoperta della propria storia, della propria cultura, della propria identità. Perché, come ha detto Pippo Ciantia, “un popolo per sentirsi parte di una nazione deve essere fiero del proprio paese”. E quale strumento migliore, per un popolo come l’ugandese, della scoperta delle bellezze nascoste delle Montagne della Luna, cioè delle bianche vette del Rwenzori, che sabato vedremo in immagini mozzafiato.