La nostra percezione dei fenomeni meteorologici e di conseguenza del clima di una data località è spesso ingannevole e per questo – commenta Luigi Mariani, del Dipartimento di Produzione Vegetale dell’Università degli Studi di Milano – «quella del meteorologo e del climatologo è da un certo punto di vista una lotta impari, tesa a sfatare storie e leggende che la feconda fantasia degli umani sforna a getto continuo».



Tuttavia un elemento del clima sul quale le nostre percezioni non s’ingannano è la sensibile differenza esistente fra clima urbano e clima delle zone rurali circostanti. Ciò perché tali differenze sono tanto consistenti e continue nel tempo da lasciare ben poco margine ad errori percettivi. In particolare, se è ancora in discussione il ruolo dell’uomo come agente causale dell’aumento delle temperature globali negli ultimi 150 anni, è da tutti pacificamente accettato l’effetto dell’uomo sul clima attraverso le modificazioni del territorio e in particolare attraverso quella serie di modificazioni che va sotto il nome di urbanizzazione.



Incontriamo Mariani a margine della Giornata di Studio sul tema «La vita degli alberi in città: un equilibrio instabile?», organizzata dall’Ordine dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali di Milano nell’ambito del Festival dell’Ambiente. Con lui parliamo di quel fenomeno che la letteratura scientifica ha battezzato come “effetto città” e si manifesta in diverse aree urbane collocate nelle più varie regioni climatiche del pianeta, dalle zone desertiche alle medie e alte latitudini.

Cosa implica, dunque, in termini quantitativi l’effetto città per le diverse variabili meteorologiche? «Per comprendere come nasce l’effetto città dobbiamo anzitutto osservare che l’ambito urbano differisce da quello rurale per una serie di aspetti quali: la ridotta presenza di vegetazione; la forma della superficie, che fa assimilare le vie delle città a dei profondi canyon; il colore, che in città è ben diverso dal verde che domina in campagna; e naturalmente, l’intensità delle attività umane, che introducono in città intense combustioni, con il conseguente rilascio di calore, di emissioni di inquinanti gassosi, di polveri e così via. Sono tutti fattori che portano a una sensibile alterazione delle temperature».



Il primo e più macroscopico effetto climatico è quello sulla temperatura dell’aria, effetto noto come “isola di calore urbano” (Urban Heat Island o UHI) e che può essere espresso come differenza fra la temperatura dell’area urbana e quella di un’area rurale circostante. «Bisogna però subito precisare che l’isola di calore urbano è un fenomeno molto diverso per cause ed entità rispetto al cosiddetto riscaldamento globale: mentre infatti le temperature globali negli ultimi 150 anni hanno registrato variazioni di circa 0,7 °C, le temperature in un centro cittadino nello stesso periodo possono aver subito sbalzi anche di 3,5 °C). Resta il fatto che la vegetazione è un potente strumento di mitigazione dell’isola di calore, in quanto: favorisce la riflessione dell’energia solare; intercetta la stessa radiazione solare impedendo che le superfici urbane si riscaldino; emette gran parte dell’energia assorbita nella forma cosiddetta di calore latente e non in forma di calore sensibile (quello che si misura con i termometri e che ci fa dire “che caldo che fa”).

 

«Occorre altresì dire che il ruolo di mitigazione dell’UHI non viene giocato solo dai vegetali nelle vie e nei parchi, ma anche dai vegetali presenti sulle facciate degli edifici e nei giardini pensili. E qui gli spazi per interventi anche da parte dei privati sono veramente enormi. Io continuo a immaginare una città in cui siano diffuse case con facciate e tetti schermati da vegetali (rampicanti e non) ben irrigati e fatti crescere su appositi supporti per evitare danni alle pareti esterne. Per una tale evoluzione la tecnologia è pronta da anni; occorre solo favorirne la diffusione con campagne di sensibilizzazione e incentivi».

C’è però il problema di garantire alle piante, in quanto esseri viventi, di vegetare con regolarità e di mantenersi nel tempo. «In altri termini, occorre garantire ai vegetali quell’equilibrio che consenta il regolare svolgimento delle diverse funzioni vitali: fotosintesi, traslocazione degli assimilati verso gli organi di accumulo, respirazione, assunzione di nutrienti dal terreno, termoregolazione e così via». Equilibrio per un vegetale superiore significa in primo luogo equilibrio fra chioma e radici. «Dovrebbe essere a tutti ovvio che non si possa pensare di piantumare alberi o anche vegetazione erbacea (un semplice prato) se non in presenza di un volume di suolo sufficiente per lo sviluppo di un buon apparato radicale». Valutata la risorsa suolo, occorrerà valutare con attenzione le altre risorse presenti nell’ambiente, cioè la risorsa della radiazione solare, le risorse termiche, quelle idriche, quelle nutrizionali.

Certo, conclude Mariani, i vegetali in città «dovrebbero essere seguiti con molta cura in quanto vivono in un ambiente per molti versi estremo. Pertanto ogni eventuale sintomo di squilibrio non dovrebbe in alcun modo essere sottovalutato».

Ma la risposta a questa esigenza è venuta proprio al convegno di ieri dove, tra l’altro, sono stati proposti dettagliati modelli per la conservazione della qualità degli alberi in città; modelli che coinvolgono una pluralità di competenze e non escludono l’impiego di strumenti avanzati come quelli informatici e in particolare i sistemi GIS (Geographic Information System) e tutte le opportunità offerte da Internet.

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