Le memorie a semiconduttore non-volatili hanno sempre avuto un’importanza strategica nello sviluppo della microelettronica e, negli ultimi dieci anni, sono diventate la famiglia di memorie con il più alto tasso di crescita. Loro caratteristica peculiare è la capacita di conservare l’informazione anche in assenza di alimentazione; per questo sono diventate componenti indispensabili per quasi tutti i sistemi elettronici. Qualunque apparecchio abbia funzioni programmabili, parametri aggiustabili dall’utente e la possibilità di memorizzare dati contiene almeno una memoria non-volatile; inoltre, alcuni dispositivi, come le carte intelligenti, esistono solo grazie a memorie di questo tipo.
Le innovazioni nel settore sono continue, come si è potuto constatare il mese scorso a Baltimora nel corso dell’International Electron Device Meeting (Iedm), l’annuale congresso sui dispositivi elettronici della IEEE, la prestigiosa associazione mondiale di ingegneria elettronica. L’Iedm è il più importante congresso sulle tecnologie e i dispositivi per la nano-elettronica e vede la partecipazione di circa 1500 ricercatori dei principali centri di eccellenza e delle società industriali leader del settore a livello mondiale. Nelle sessioni dedicate alle memorie, grande risalto hanno avuto i lavori sulle memorie a cambiamento di fase presentati da Numonyx. La multinazionale, nata nel 2008 dalla fusione delle attività sulle memorie non-volatili di Intel e STMicroelectronics, ha presentato quattro lavori, di cui due prodotti autonomamente e due frutto di collaborazioni con Intel e con STM.
L’attività di ricerca che ha portato ai risultati presentati alla conferenza si svolge prevalentemente nel centro tecnologico di Agrate Brianza (MB): qui, per approfondire i contenuti di tale attività, abbiamo incontrato Paolo Cappelletti, responsabile dello Sviluppo Tecnologie di Numonyx, che ha sottolineato l’esplosiva crescita del mercato delle memorie non-volatili nell’ultimo decennio. Una crescita legata soprattutto allo sviluppo degli apparecchi elettronici portatili, iniziato nella seconda meta degli anni ’90 con l’avvento della telefonia mobile, delle macchine fotografiche digitali, dei riproduttori audio digitali, dei computer palmari e proseguito in questo decennio con il fenomeno della convergenza multimediale che vede i telefoni di terza generazione offrire tutte queste funzioni e altre ancora in un unico apparecchio. «Le funzioni multimediali richiedono grandi capacità di memoria, sia per conservare sistemi operativi e programmi applicativi, sia per immagazzinare i dati prodotti dall’utente; per esigenze di spazio, consumo e resistenza agli urti, negli apparecchi elettronici portatili di piccole dimensioni non si utilizzano dischi magnetici, come nei PC, ma solo memorie a stato solido. Inoltre, la proliferazione degli apparecchi digitali e l’evoluzione tecnologica delle memorie non-volatili hanno portato allo sviluppo di una serie di dispositivi utilizzati per immagazzinare e trasferire dati, come le carte di memoria e le chiavette USB, che sono prodotti in continua crescita sia come capacità di memoria per dispositivo sia come domanda globale. Per i prossimi anni si prevede un ulteriore incremento del mercato in relazione alla crescente adozione di dischi a stato solido nei PC portatili, a partire dai netbook per interessare, successivamente, una porzione sempre più rilevante dei notebook».
L’eccezionale sviluppo delle memorie non-volatili e delle loro applicazioni è stato reso possibile da una particolare tecnologia, quella delle memorie flash, introdotta sul mercato all’inizio degli anni 90. Le memorie flash hanno celle di memoria molto compatte, costituite da un singolo transistore, in cui è possibile immagazzinare anche più di un bit di informazione. La cella di memoria flash è un transistore particolare le cui caratteristiche dipendono dalla carica elettrica immagazzinata, la cui variazione modifica l’informazione contenuta. Esistono due categorie di memorie flash, che si differenziano per le prestazioni a causa di una diversa organizzazione interna: le memorie flash di tipo NOR permettono di accedere ai dati velocemente e in modo casuale mentre quelle di tipo NAND offrono maggior densità e minor costo a scapito di un accesso ai dati sequenziale; le prime sono più adatte a memorizzare programmi mentre le seconde sono più adatte a immagazzinare file di dati.
«Le memorie flash, in particolare quelle NAND, costituiscono oggi la frontiera più avanzata della tecnologia d’integrazione; si producono in volume memorie da 16 gigabit (Gbit) realizzate con tecnologia da 40 nanometri (nm) e si è già avviata la produzione dei chip da 32 Gbit in tecnologie da 32-34 nm. Tuttavia, l’evoluzione della tecnologia flash, basata sulla continua riduzione di dimensioni dalle celle, sta raggiungendo i limiti imposti dalle dimensioni minime di funzionamento della cella stessa; il limite fisico si dovrebbe raggiungere intorno ai 20 nm, cioè in tre o quattro anni». Diventa quindi fondamentale trovare tecnologie alternative che consentano proseguire nell’evoluzione delle memorie non-volatili oltre i limiti raggiungibili con le memorie flash. In questo contesto si capisce l’importanza dei risultati presentati da Numonyx.
Da alcuni anni si stanno studiando nuovi concetti di memoria non-volatile, basati su principi di funzionamento radicalmente diversi, alla ricerca della tecnologia che in futuro possa rimpiazzare le memorie flash. La più promettente tra tecnologie emergenti è la memoria a cambiamento di fase, sulla quale avevano puntato, indipendentemente, Intel e STM per poi unire gli sforzi nel 2003 in un programma congiunto di ricerca, in seguito confluito in Numonyx. Per la prima volta, al congresso di Baltimora è stato presentato un quadro completo dei risultati di tale attività, confermando la posizione di preminenza di Numonyx in questo campo.
A differenza delle memorie flash – come ci spiega Cappelletti – che si basano sull’immagazzinamento di carica elettrica, quelle a cambiamento di fase sfruttano la proprietà di alcuni materiali di passare in maniera stabile e reversibile dalla fase cristallina alla fase amorfa, presentando nelle due fasi caratteristiche elettriche molto diverse. «Sono gli stessi materiali utilizzati nei DVD riscrivibili: nei DVD il cambiamento di fase è indotto da un fascio laser e si rileva una variazione di riflettività del materiale, mentre in queste memorie la transizione è dovuta al riscaldamento prodotto da corrente elettrica e ciò che si osserva è la variazione di resistività del materiale».
Quali sono dunque i vantaggi di queste memorie? «Le memorie a cambiamento di fase si programmano più velocemente e sopportano più cicli di scrittura delle memorie flash e, soprattutto, non presentano limiti fisici alla riduzione delle dimensioni della cella fino meno di 10 nm. Ciò che ancora deve essere dimostrato è la loro producibilità a livello industriale e la loro competitività in termini di costi di produzione».
Cappelletti tuttavia non nasconde la soddisfazione per i risultati presentati dai ricercatori di Numonyx all’IEDM. «Su un chip da 128Mbit realizzato in tecnologia da 90 nm, abbiamo dimostrato di saper produrre memorie a cambiamento di fase raggiungendo standard industriali in termini di resa di produzione e di affidabilità. In un altro lavoro, che è stato valutato come il più interessante tra tutti quelli sulle memorie, abbiamo presentato la tecnologia per memorie a cambiamento di fase da 45 nm, la più avanzata finora presentata a livello mondiale; con questa stiamo sviluppando un chip da 1Gbit che è competitivo in termini di costi con memorie RAM o flash di pari capacità. In un lavoro congiunto Numonyx e STM, abbiamo dimostrato che le memorie a cambiamento di fase possono essere integrate in tecnologie CMOS per microcontrollori o chip per carte intelligenti con vantaggi di prestazioni e costo rispetto alle memorie flash. In un altro lavoro, insieme a Intel, è stata presentata per la prima volta una tecnologia innovativa che consente di sovrapporre diversi strati di celle in un unico chip per ottenere, grazie all’integrazione verticale, una maggiore densità; in questo modo le memorie a cambiamento di fase potrebbero raggiungere densità e costi adeguati all’applicazione nel campo dei dischi a stato solido».
Una raffica di risultati quindi, che non solo conferma una leadership tecnologica ma anche la versatilità delle nuove memorie che possono coprire vantaggiosamente tutte le applicazioni delle memorie non-violatili, candidandosi a giocare negli anni a venire un ruolo di crescente rilevanza nello scenario delle memorie a stato solido.
L’immagine del “cuore” di una cella, ottenuta con un microscopio elettronico a trasmissione, evidenzia nello strato di materiale cristallino (χ-GST) la presenza di una “calottina” di materiale amorfizzato (α-GST), in corrispondenza del punto di contatto con la lamella conduttiva verticale (lo strato piu chiaro) che funge da riscaldatore. Il materiale in cui avviene la transizione è un composto ternario di germanio (Ge), antimonio (Sb) e tellurio (Te), identificato per brevità come GST; lo spessore della lamella conduttiva è di circa 20 nm. Intensi impulsi di corrente elettrica consentono, in un tempo dell’ordine della decina di nanosecondi, di fondere localmente il materiale cristallino, rendendolo amorfo; impulsi elettrici di minor intensità e di durata dell’ordine delle centinaia di nanosecondi permettono di ricristallizzare il materiale amorfizzato. Lo stato della cella è letto verificandone a bassa corrente la resistenza, che è molto più elevata in presenza della fase amorfa.