La specialità atletica dei 100 metri piani evoca subito in tutti noi l’idea di potenza e forza. Il primo record del mondo in questa disciplina è datato 1912 ad opera di David Lippincot con il tempo di 10”6. Oggi questo record appartiene, grazie alla vittoria nei campionati del mondo di Berlino 2009, al giamaicano Usain Bolt con soli 9”58. Superuomini capaci di raggiungere, con la sola forza delle loro gambe, una velocità che nel caso di Bolt si attesta intorno ai 45 chilometri orari.



In passato lo sport è stato ben lontano dalla contaminazione tecnologica presente invece oggi. Nessuno si sarebbe mai immaginato che diverse università si sarebbero messe in moto per studiare ogni minimo dettaglio al fine di migliorare le prestazioni atletiche. Uno studio pubblicato dalla rivista Journal of Applied Phisiology afferma che la velocità massima raggiungibile da un atleta sarà ben superiore a quella fatta registrare da Bolt. Gli scienziati azzardano addirittura una previsione: l’uomo sarà in grado di raggiungere la velocità di 65 chilometri orari. Tutto ciò grazie a particolari accorgimenti che non hanno nulla a che vedere con tute aereodinamiche, scarpe speciali o prodotti miracolosi.



Spesso, erroneamente, si è portati a pensare che la velocità massima raggiungibile da un uomo sia, solo ed esclusivamente, dipendente dalla potenza con cui le gambe impattano con la pista di atletica. In sostanza, più le gambe sono forti e più si va veloce. Mediamente un atleta è in grado di imprimere forze che sono prossime ai 450 chili, ovvero al limite delle capacità muscolari. Se fosse allora una questione di sola forza impressa sul terreno, il miraggio dei 65 chilometri orari resterebbe tale. In realtà le variabili che concorrono a migliorare il record di velocità sono diverse. Gli autori del singolare studio hanno individuato una variabile fondamentale su cui agire: il tempo in cui viene scaricata dal piede la forza sul terreno. Tra i professionisti dell’atletica, il tempo medio di contatto tra piede e suolo è di circa un decimo di secondo, e la maggior forza viene sviluppata entro il tempo di un ventottesimo di secondo. «Un tempo troppo breve per sviluppare la massima potenza» ha dichiarato Peter Weyland, uno dei ricercatori coinvolti nello studio. Sembra dunque essere questo il fattore limitante la velocità.



 

Lo studio ha coinvolto diversi atleti che si sono cimentati a correre in differenti modi. Attraverso l’utilizzo di uno speciale tapis roulant, in grado di raggiungere velocità elevate e di monitorare in tempo reale la forza impressa dal piede, i ricercatori hanno fatto correre tradizionalmente, all’indietro e con un piede solo i vari sportivi sottoposti al test. Il risultato dei test ha evidenziato dunque che il fattore limitante risulta essere il periodo di contatto tra piede e terreno.

Alla luce di questa evidenza sperimentale, quali sono gli accorgimenti che gli atleti dovranno adottare per correre più veloci? Attualmente ci sono diverse ipotesi. La prima vede un cambiamento nello stile di corsa: esso dovrà essere in grado di aumentare il tempo di contatto come ad esempio fanno numerosi felini. La seconda, più realizzabile, prevede che la corsa venga effettuata da persone con gambe molto lunghe: questo perché a parità di tempo, è maggiore la forza impressa da una gamba più alta. Terza, ma molto simile all’idea di cyber-uomo e poco realizzabile, è finalizzata a modificare strutturalmente il muscolo in modo da aumentare la velocità di contrazione delle fibre. Questa caratteristica donerebbe al muscolo la capacità di scaricare più forza nel minor tempo.

 

Il risultato della ricerca sembra essere davvero promettente. Non mancano però gli scettici. Uno di questi è Pietro Mennea, campione olimpico dei 200 metri piani nel 1980 a Mosca. «Non credo che l’uomo abbia nelle gambe questa velocità nell’immediato futuro» ha dichiarato Mennea commentando la notizia dello studio. Non c’è la certezza che l’uomo raggiungerà queste velocità in futuro. Una sola cosa è certa: l’atletica, e in questo caso particolare i 100 metri piani, stanno diventando sempre più discipline dove la scienza può fare la differenza.