Se leggendo questo articolo non vi viene spontaneo associare ad alcune parole dei particolari colori, allora non siete affetti da sinestesia parole-colore; potrete quindi cimentarvi senza eccessive preoccupazioni nelle simpatiche prove che gli scienziati cognitivi propongono per saggiare questo singolare fenomeno. E potrete sorridere quando, davanti alla parola rosso scritta in blu, direte istintivamente che l’inchiostro è rosso.



Per alcuni però la sinestesia è un comportamento abituale ed è da qualche tempo oggetto di studi, condotti prevalentemente su base sperimentale. Come quelli svolti da un’èquipe del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo dell’Università di Padova, i cui risultati saranno pubblicati sul numero di febbraio della rivista specializzata Cortex. Ce ne parla Ilaria Berteletti, una della autrici della ricerca.



Cosa si intende nella scienza col termine sinestesia?

 

Il termine sinestesia si riferisce all’unione dei sensi. Nel caso delle scienze cognitive si parla di sinestesia quando un’esperienza sensoriale, per esempio un suono, suscita un’esperienza in un’altra modalità sensoriale, per esempio la vista. Per fare un esempio, una persona con sinestesia musica-colore vede dei colori quando sente dei suoni o delle note musicali. La sinestesia non è fantasia ma ha un reale fondamento neurologico ed è generalmente presente fin da molto presto nell’infanzia.

Quale aspetto di tale fenomeno avete osservato nelle ricerche che pubblicherete su Cortex?



Nelle persone (il 4% della popolazione considerando tutte le forme possibili) esistono dei collegamenti tra diverse aree sensoriali generalmente non presenti. Le forme più comuni sono quelle della sinestesia parole-colore e numeri-colore. Nel nostro articolo presentiamo il caso di un sinesteta per il quale la lettura di numeri dà luogo a determinati colori (per esempio, il 2 è rosso). Quello che abbiamo osservato è che l’associazione tra numero e colore si è estesa con gli anni anche agli insiemi di puntini sia comuni (come le configurazioni del dado) che casuali.

Quale procedura sperimentale avete applicato?

 

La procedura sperimentale usata è quella conosciuta col nome di compito Stroop. Nella sua forma classica si presentano dei nomi di colori scritti con l’inchiostro sbagliato, come per esempio la parola ROSSO scritta in blu. Il compito è di denominare il colore dell’inchiostro ignorandone la parola. In questo esempio si deve dire blu e non rosso. Poiché la lettura della parola è automatica e difficile da inibire, si osserva un’interferenza che rallenta l’esecuzione del compito e fa commettere errori. Al partecipante sinesteta sono stati presentati dei numeri singoli, degli insiemi di pallini casuali e delle configurazioni di dadi colorati sia “giusti”, cioè con il colore da lui normalmente percepito per quel numero, che “sbagliati”, cioè con il colore associato a un altro numero. Essendo la percezione sinestetica automatica e involontaria questa crea un’interferenza quando il colore dell’inchiostro è “sbagliato”.

 

Che risultati avete ottenuto?

 

Per il partecipante solo i numeri danno luogo a una percezione secondaria di colore, le facce del dado e gli insiemi casuali no. Si è però osservato, dai tempi di reazione e dagli errori, che anche le configurazioni del dado e gli insiemi casuali di puntini hanno creato interferenza. Quando apparivano per esempio due puntini blu anziché rossi (ricordiamo che per questo partecipante il numero due è rosso) il partecipante era rallentato e occasionalmente si sbagliava dicendo rosso. Questo indica che l’interferenza avviene anche in assenza di una percezione esplicita del colore per il nostro partecipante.

 

Come spiegarlo?

 

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La presenza di un’interferenza di tipo sinestetica non significa che esista una sinestesia implicita tra colori e insiemi di puntini ma piuttosto che l’associazione tra numeri e colore si sia estesa al concetto numerico e di conseguenza anche ad altre rappresentazioni del numero. Quindi la vista di quattro puntini attiva la semantica del numero che a sua volta attiva il colore senza però dare luogo a una percezione esplicita. In questo caso abbiamo usato il termine pseudo sinestesia per sottolineare che non si tratta di reale sinestesia per quanto gli effetti osservati siano simili. Gli anni di esperienza sinestetica hanno quindi modificato le relazioni tra rappresentazioni creando un nuovo collegamento tra semantica numerica e colori.

 

Tali risultati possono offrire contributi più generali per una migliore comprensione delle nostre esperienze percettive?

I risultati portano a due considerazioni principali. La prima è che per parlare di sinestesia è necessaria una percezione secondaria esplicita. Senza questa reale percezione da parte della persona bisogna essere cauti e piuttosto riferirsi al termine pseudo sinestesia. La seconda considerazione è che uno stesso effetto riscontrato sperimentalmente può essere indotto da diversi meccanismi percettivi. Da un punto di vista più generale, la pratica e un iper-apprendimento possono creare delle associazioni a lungo termine tra rappresentazioni che di norma non sono collegate.