Secondo la teoria attualmente più accreditata per spiegare come nascono i pianeti, la formazione di questi oggetti avviene attraverso una enorme crescita di grani di polvere, inizialmente di dimensioni inferiori a un millesimo di millimetro (un micron), presenti nel mezzo interstellare della nostra galassia. A grandi linee sappiamo che questo processo di crescita dei grani avviene durante le fasi della nascita delle stelle, ma non è ancora chiaro in quali di queste fasi vengono compiuti i diversi passi della crescita.



Per poter investigare questo aspetto, è necessario osservare regioni della nostra galassia in cui il processo di formazione stellare è a diversi stadi. Dalle informazioni che si riescono a ottenere riguardo la dimensione dei grani di polvere in ciascuno di questi stadi, si può risalire alla storia della nascita dei pianeti.



A questo scopo, lo scorso febbraio un gruppo guidato da Jurgen Steinacker dell’Osservatorio di Parigi ha pubblicato nuove immagini della nube molecolare chiamata L183 ottenute con il telescopio spaziale infrarosso Spitzer. Le regioni più dense delle nubi molecolari, dette in inglese “cores”, sono le zone delle galassie in cui la materia può collassare a causa della propria gravità e rappresentano quindi i primissimi stadi della formazione stellare.

Le immagini infrarosse mostrano come il core della nube L183 sia sorprendentemente brillante alla lunghezza d’onda di 3,6 micron. La sorpresa sta nel fatto che queste regioni appaiono solitamente molto scure a queste lunghezze d’onda, in quanto la luce delle stelle che si stanno formando al loro interno viene facilmente bloccata dalla polvere presente nella regione e non può quindi arrivare ai nostri telescopi.



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 Questa strana emissione osservata a 3,6 micron è stata interpretata come luce proveniente da stelle fuori dalla regione (e non da stelle in formazione all’interno) che viene deviata dai grani di polvere presenti nella regione. La cosa interessante è che affinché questa radiazione infrarossa possa essere deviata in modo efficace, i grani devono avere una dimensione di circa 1 micron, e quindi maggiore di quelli presenti in regioni meno dense della galassia.

Una spiegazione alternativa riguardava l’emissione diretta da parte di polvere calda di dimensioni molto inferiori al micron, scaldata da raggi UV provenienti da stelle vicine. Questa seconda spiegazione è stata però scartata dalle stesse osservazioni: secondo tale ipotesi l’emissione dovrebbe avvenire prevalentemente dalle regioni più esterne del core, dove i raggi UV possono scaldare la polvere, ma ciò è in disaccordo con quanto osservato da Spitzer.

La presenza di grani grandi di circa 1 micron che deviano la luce interstellare rimane quindi l’unica ipotesi tuttora formulata che spiega le osservazioni infrarosse. Fino a poche settimane fa, questo tipo di fenomeno era stato notato in una sola nube molecolare. Per capire se il caso di L183 sia unico o se invece questo tipo di fenomeno sia comune ad altre nubi, lo stesso gruppo ha riesaminato una grande quantità di osservazioni già effettuate da Spitzer ed ha recentemente pubblicato i risultati sulla rivista Science.

Ciò che le osservazioni hanno mostrato è che su 110 nubi molecolari circa la metà mostra le stesse caratteristiche di L183: per una frazione considerevole di regioni, i primi passi della crescita dei grani di polvere avvengono durante le primissime fasi della formazione stellare. In realtà, a questa conclusione erano giunti altri ricercatori attraverso recenti studi a lunghezze d’onda maggiori.

 

 

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In astrofisica però, come in tutte le discipline scientifiche, è molto importante avere diverse indicazioni a favore di una certa teoria ottenute con metodi fra loro indipendenti. Ciò è fondamentale poiché, qualora ci si rendesse conto che l’interpretazione da parte di uno di questi metodi fosse scorretta, o tralasciasse qualche aspetto importante – fatto questo molto frequente anche nella scienza – la teoria potrebbe comunque poggiare su altre indicazioni da metodi indipendenti.

Occorre inoltre notare come, nonostante questi studi dimostrino che il processo di agglomerazione dei grani di polvere può partire molto presto, sia impossibile pensare che l’intero processo di formazione dei pianeti possa continuare ad avvenire nei core delle nubi molecolari. Per potere investigare le fasi “calde” della formazione di pianeti, è necessario osservare fasi successive della formazione stellare, in cui la polvere si concentra in sistemi con maggiore densità rispetto ai core: i dischi proto-planetari.

Lo studio dei dischi proto-planetari rappresenta uno dei principali temi scientifici che verranno investigati dal James Webb Space Telescope (JWST), il telescopio spaziale che farà da successore a Spitzer (lancio previsto nel 2014).