Nei giorni scorsi è stato diffuso l’annuncio della scoperta di un pianeta, definito «il primo potenzialmente abitabile», intorno alla stella Gliese 581. Come di frequente accade per questo tipo di notizie, bisogna però sempre stare attenti a distinguere i fatti dalle opinioni, spesso un po’ troppo in libertà, anche quando si tratta di quelle degli stessi scienziati che hanno fatto la scoperta, i quali sono pur sempre esseri umani come tutti gli altri e spesso non resistono alla tentazione di enfatizzare il proprio successo al di là della sua reale portata.



Di vero c’è che il pianeta ha indubbiamente caratteristiche interessanti, sia per essere di tipo roccioso come la Terra (e non gassoso come per esempio Giove o Saturno), sia per seguire un’orbita quasi circolare (importante per avere un clima sufficientemente stabile), sia per avere dimensioni tali da permettergli di trattenere un’atmosfera senza peraltro avere una gravità così forte da essere incompatibile con la vita (anche se è pur sempre tripla rispetto alla nostra, per cui un essere umano là peserebbe circa 200 chili), sia, infine, per il fatto di trovarsi in quella che viene chiamata dai bioastronomi “zona circumstellare abitabile” (definita come quella fascia intorno alla stella in cui è possibile trovare l’acqua allo stato liquido).



Ciò detto, passiamo a correggere le purtroppo numerose imprecisioni. Anzitutto, non è assolutamente vero che «le possibilità che su questo pianeta la vita sia presente sono del 100%», perché non è affatto provato che “dove c’è acqua c’è sempre vita”. L’acqua è certamente una condizione necessaria per la vita come noi la conosciamo: e siccome cercare evidenze indirette (le sole che possiamo riscontrare su pianeti extrasolari) di forme di vita di un tipo che non conosciamo sarebbe pressoché impossibile, appare ragionevole classificare come “abitabile” un pianeta solo se è in grado di avere dell’acqua in forma liquida. Questa però non è affatto anche una condizione sufficiente, o quantomeno non vi è alcuna certezza che lo sia: anzi, è proprio una delle cose che stiamo cercando di scoprire.



Poi, c’è il fatto che il pianeta Gliese 581 volge sempre la stessa faccia alla sua stella. Nonostante il tentativo degli scopritori di presentarla favorevolmente attraverso l’uso di un’espressione a cui siamo abituati ad attribuire valenza positiva, come “rendere stabile il clima”, questa non è affatto una buona notizia, perché la faccia rivolta alla stella risulta troppo calda e quella rivolta all’esterno troppo fredda. E infatti gli stessi ricercatori hanno dovuto alla fine riconoscere che la zona abitabile del pianeta verosimilmente è limitata alla fascia di confine tra le due zone, che però è molto ristretta: probabilmente troppo per permettere lo svolgimento di tutti i processi necessari a generare la vita.

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È, poi, assolutamente falso che l’equazione di Drake dimostri alcunché, e in particolare che «esistono 5 milioni di pianeti abitati da altri esseri viventi, di cui 5mila con una civiltà evoluta», dato che non abbiamo ancora la benché minima idea di quale sia il corretto valore di alcuni dei suoi termini. Fino a quando non avremo conoscenze più precise, dunque, essa serve solo a dare un quadro di riferimento teorico per le nostre ipotesi, permettendo di calcolare quanti pianeti abitati “ci sarebbero” posto che i termini ignoti avessero determinati valori.

Frank Drake (della cui amicizia mi onoro ormai da tempo) è il primo ad essere perfettamente cosciente di ciò: e infatti in questi anni l’ho visto diverse volte cambiare le sue stime e i conseguenti ipotetici “risultati” che ne derivano. Il valore di 5mila civiltà tecnologiche nella sola Galassia riportato nell’articolo è appunto solo uno di tali risultati ipotetici: e spiace che anche uno scienziato serio come Cosmovici (sempre che le sue parole siano state riportate correttamente dall’intervistatore, beninteso) abbia ceduto alla tentazione di presentarlo come un risultato assodato.

Invece non solo non è così, ma sarebbe facile dimostrare che, facendo stime solo leggermente diverse, si può arrivare ad avere come risultato una sola civiltà tecnologica (la nostra), non solo nella Galassia, ma addirittura nell’intero Universo. Infine, sarebbe bene rendersi conto una volta per tutte che l’importanza dell’esplorazione dello spazio sta nelle conoscenze che ci può fornire sul mondo in cui viviamo e, indirettamente, anche su noi stessi, e non (ricadute tecnologiche a parte) in una qualche utilità pratica, che non ha e non può avere, se non altro per ragioni economiche.

Quando poi si parla di viaggi al di fuori del sistema solare, a ciò si aggiunge anche un problema di fattibilità tecnica che, almeno a quanto ne sappiamo, sarà probabilmente insormontabile anche nel più lontano futuro. E, in ogni caso, le tecnologie sarebbero così complesse e costose che si potrebbe pensare solo a missioni esplorative o al massimo (ma è già quasi fantascienza) allo stabilimento di qualche colonia. Pensare di trasferirci in massa su un altro pianeta per risolvere i nostri (veri o presunti) problemi ambientali, per quanto “politically correct”, è un’idea che non ha il minimo fondamento scientifico.