Il centenario della prima trasvolata delle Alpi e della prima grande competizione aerea milanese, ci dà lo spunto per ritornare su alcuni appassionanti avvenimenti tipici della belle epoque. Nel clima di grande fiducia nel “progresso” che caratterizzò l’Europa nel primo ‘900, la città di Milano promosse numerose iniziative nelle quali l’esaltazione delle tecnologie più spettacolari, come l’aeronautica che si andavano in quegli anni affermando, ebbe un particolare rilievo.
Lungi da costituire un episodio isolato, il “Circuito Aereo Internazionale di Milano” nacque in effetti in continuità con la “Esposizione Universale” del 1906, con la tournée italiana del pilota francese Leon Delagrange del 1908 e con la prima “Esposizione d’Aviazione Italiana” del 1909, che fece seguito alla primissima competizione aeronautica italiana, il “Circuito Aereo di Brescia”, del settembre dello stesso anno.
L’Esposizione Universale avvenne in concomitanza con l’inaugurazione del nuovo tunnel ferroviario del Sempione e non a caso era intitolata al tema dei trasporti. Al suo interno esisteva un’ampia sezione dedicata all’aerostatica, dotata di un grande campo per l’involo dei palloni, che si trovava ai confini dell’area in cui sarebbe in seguito sorta la Fiera di Milano.
Da qui prese l’avvio il grande aeronauta milanese Celestino Usuelli per compiere una traversata delle Alpi in pallone. Progettista e costruttore di palloni e dirigibili, Usuelli fu l’ideale continuatore delle imprese del marchese Paolo Andreani, che nel lontano 1784 aveva compiuto la prima ascesa italiana in mongolfiera, a poche mesi da quella storica dei fratelli Montgolfier. Venti favorevoli spinsero il pallone di Usuelli a Aix-les-Bains in poco più di quattro ore.
Ma palloni e dirigibili avevano molti limiti e non erano le uniche macchine con cui i nostri bisnonni tentavano di volare. In effetti già due anni dopo i milanesi avevano potuto constatare quali fossero gli ultimissimi progressi della tecnica aeronautica, assistendo alle esibizioni di Leon Delagrange, scultore francese convertito all’arte del volo, che aveva inanellato voli continuativi di “ben quindici minuti”, a pochi metri da terra, sullo stesso campo da cui era partito Usuelli. Delagrange era venuto a volare in Italia, attirato da un lauto ingaggio, con un biplano Voisin dotato di un leggero motore da 50 CV, appositamente sviluppato per i “più pesanti dell’aria”, dopo ave rivaleggiato per mesi a Parigi con pionieri del volo a motore del calibro di Santos-Dumont, Farman e Bleriot.
Nell’estate del 1908 i pionieri europei del volo avevano ricevuto una salutare scossa dalla venuta nel vecchio continente dei fratelli Wright, che avevano volato a lungo e con grande sicurezza anche in Italia, a Centocelle (Roma). La curiosità degli appassionati e del pubblico si era così vieppiù rinforzata, cosicché alle semplici esibizioni di singoli velivoli cominciarono a sostituirsi i raduni e le competizioni aeronautiche; come il già citato Circuito di Brescia. Intanto la nascente disciplina sportiva, prometteva non solo di impegnare ricchi borghesi, non più paghi delle emozioni dispensate negli anni precedenti da biciclette, motociclette e automobili; ma faceva intravedere la possibile nascita di nuove iniziative industriali, sull’onda di quanto stava accedendo in Francia e negli Stati Uniti.
Non deve quindi meravigliare se all’idea di organizzare una grande competizione aerea anche a Milano si abbinò subito quella di proporre un’impresa che potesse non solo strabiliare e attirare ancor più il pubblico, ma fornire anche un potente stimolo al progresso della tecnica aeronautica. Lo affermava esplicitamente Arturo Mercanti, carismatico presidente del Touring Club Italiano e anima del comitato organizzatore del Circuito di Milano: «Una traversata delle Alpi in aeroplano avrebbe portato un eccezionale argomento definitivo di conclusione nel dibattito allora diffuso e vivo fra tecnici e coscienza pubblica sulla superiorità dell’uno piuttosto che dell’altro mezzo, aeroplano e dirigibile; avrebbe portato elementi di rivoluzione se non immediata, di non lontano avvento, nella futura arte militare aerea, non solo ma sui secolari sistemi di comunicazione e di scambio».
In effetti l’organizzazione della traversata, che fu curata in dettaglio coinvolgendo una gran quantità di persone sui versanti svizzero ed italiano del Passo del Sempione, cercò di assicurare il più possibile le comunicazioni, con telefoni, telegrafi elettrici e ottici, posti di osservazione e staffette motorizzate (Marconi aveva perfino offerto degli apparati radio, che non furono però attivati), ma fu in ogni caso messa a dura prova dal severo ambiente montano e dalle mutevoli condizioni meteorologiche. Furono queste le vere difficoltà da superare, perché il monoplano Bleriot XI di Geo Chavez si era in realtà già dimostrato capace di superare le quote richieste per la traversata, conquistando, nei mesi precedenti, numerosi primati di altezza. Però la sua struttura era intrinsecamente fragile, come del resto tutti i velivolo di quegli anni, e poco adatta a volare fra i vortici e le correnti delle montagne.
Nonostante questo, il coraggio e la tenacia di Chavez – l’unico degli iscritti alla competizione a tentare veramente l’impresa – sarebbero riusciti a portare a pieno compimento la trasvolata da Briga a Domodossola e la successiva corsa verso Milano, se non fosse stato per la rottura di un piccolo elemento alare che lo fece precipitare in fase di atterraggio a Domodossola. Una ricostruzione delle vicende del Circuito di Milano fu redatta nel 1960 quando, in occasione del cinquantenario, a Milano fu organizzata un’imponente mostra commemorativa. Quella mostra saldava idealmente i primi interessi della città di Milano alla nascente tecnologia del trasporto aereo, con l’inaugurazione del rinnovato aeroporto di Linate, finalmente accessibile anche agli aeroplani più moderni.
Interessi che, nel più genuino spirito meneghino, già nel 1910 avevano saputo coniugare le esigenze dello sport con quelle della concretezza e degli affari, tanto che il vasto campo di gara ricavato attorno alla Cascina Taliedo non era stato pensato come una effimera struttura ma come luogo da destinare allo sviluppo delle tecniche aeronautiche. Esso divenne in effetti il nucleo del primo aeroporto milanese e in pochi anni anche la sede della Caproni, la principale industria aeronautica italiana a cavallo delle due guerre mondiali.
Dopo le commemorazioni il nome di Geo Chavez, figlio di un ricco banchiere peruviano trapiantato in Francia, che preferì la sfida del coraggio e dell’avventura a una tranquilla vita da dandy parigino, tornerà nell’oblio probabilmente per i prossimi cinquant’anni; ma qualche frettoloso passante milanese potrà forse dire, transitando per la via Chavez (in zona Loreto), ora so chi era costui.