La settimana prima dei Nobel è stata segnata da due importanti notizie di carattere medico scientifico. La prima, quella dell’impianto di un cuore artificiale in un giovane di Roma, ha offuscato la seconda, quella sulla presunta scoperta di un nuovo metodo per produrre cellule staminali. Ma andiamo con ordine.

Giornali e televisioni hanno riportato la notizia dell’avvenuto trapianto di un cuore totalmente artificiale in un ragazzo di 15 anni. Lo stupore per l’intervento è stato grande tanto che il ministro della Sanità Ferruccio Fazio si è complimentato per la straordinaria operazione. La notizia in quanto tale sarebbe straordinaria se non fosse che lo strumento impiantanto nel ragazzo non è un cuore artificiale, come in molti credono.



Basta approfondire la notizia per capire che la tecnica utilizzata è nota sin dal 2000. Come ha dichiarato il cardiochirurgo Mario Viganò al quotidiano La Stampa, «si parla spesso di cuore artificiale ma più correttamente si tratta di assistenza ventricolare». La tecnologia impiantata nel ragazzo di Roma è in realtà una turbina, innestata nel suo vero cuore, che funge da pompa idraulica. Non si tratta dunque di un cuore nuovo totalmente artificiale ma di un supporto, da ricaricare ogni giorno, applicato all’interno del cuore stesso.



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In Italia sono già state impiantate negli adulti circa 50 turbine di questo genere. L’importanza della notizia dunque non è nella rivoluzionaria tecnica ma quanto nel fatto che si tratta del primo trapianto del genere che avviene in un ragazzo di 15 anni. La notizia dell’intervento, come detto in apertura di articolo, ha fatto passare in secondo piano quella sulle staminali che, se confermata, potrebbe rivoluzionare la ricerca e la sperimentazione di queste cellule superando una volta per tutte le problematiche di natura etica e tecnica.



L’autore della scoperta è il professor Derrick Rossi, da anni impegnato nel campo della produzione di cellule staminali. Nella ricerca appena pubblicata dalla rivista Cell Stem Cell, Rossi sembra aver individuato una nuova ed efficiente modalità che consentirebbe la produzione di cellule con caratteristiche staminali a partire da cellule adulte differenziate. Ciò permetterebbe dunque la produzione di cellule staminali senza dover necessariamente distruggere un embrione, unica via al momento per ottenere staminali embrionali.

Agli occhi dei più esperti questa potrebbe sembrare una non notizia. Già in passato, più precisamente nel 2006, lo scienziato giapponese Yamanaka era riuscito a ottenere qualcosa di simile. Dove sta allora la news? Per trasformare una cellula adulta in una con caratteristiche staminali bisogna necessariamente riprogrammare il DNA della cellula in questione. Il processo può essere paragonato a quello utilizzato per installare un programma sul computer.

 

 

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Dall’esterno è necessario fornire dei geni che, inseriti nella cellula, ne modifichino le caratteristiche in modo da farla tornare indietro nel tempo. Una sorta di “formattazione”. Per fare ciò in passato Yamanaka ha utilizzato come navetta di trasporto dei virus. Peccato però che la tecnica comporti alti rischi che nel peggiore dei casi si traducono in una comparsa di tumore a partire dalle cellule modificate.

 

Il professor Rossi, ed ecco la notizia, sembra aver aggirato questo problema evitando di usare i virus come vettore di trasporto del DNA utile alla riprogrammazione. L’approccio utilizzato infatti è completamente differente. Normalmente il DNA di una cellula contiene le informazioni necessarie a produrre delle molecole chiamate mRNA, indispensabili alla produzione di tutte le proteine e quindi necessarie anche nella riprogrammazione della cellula.

L’idea del professor Rossi è stata quella di iniettare direttamente nelle cellule adulte dell’mRNA, opportunamente trattato, evitando così di utilizzare vettori virali in grado di trasportare i geni della riprogrammazione. Stando ai risultati pubblicati questa tecnica avrebbe centrato l’obbiettivo di riprogrammazione da adulte a staminali con un’altissima efficienza. Se ciò fosse confermato, l’innovativa metodica porrebbe fine a quei problemi di natura tecnica e bioetica legati alla produzione e all’utilizzo delle cellule staminali.