Sono settimane calde al Cern di Ginevra, riscaldate dagli annunci diffusi dai laboratori dell’esperimento ALICE presso l’acceleratore LHC che sta operando a pieno ritmo: i segnali catturati durante le prime collisioni ad alta energia tra nuclei di piombo hanno indicato la presenza di un plasma di particelle (un mix di quark e gluoni) in condizioni paragonabili a quelle dei primissimi istanti dopo il Big Bang e con temperature estreme, dell’ordine delle decine di migliaia di miliardi di gradi. E nei prossimi giorni inizieranno a uscire i primi articoli scientifici sulle riviste specializzate internazionali, prodotti dai vari gruppi che lavorano sui dati di ALICE in tutto il mondo.
Ma cosa sta accadendo, più esattamente? Ilsussidiario.net ha raggiunto Paolo Giubellino, il fisico italiano che guida l’intera collaborazione internazionale ALICE (A Large Ion Collider Experiment): più di 1000 mille tra fisici, ingegneri e tecnici da 105 istituti di ricerca di trenta Paesi.



Nel vostro esperimento vengono fatti collidere fasci di nuclei: come avviene questo processo?

Lei deve immaginare i fasci di particelle come delle nuvolette o dei pacchetti che, quando l’acceleratore viene attivato, vengono iniettati uno dopo l’altro nei tubi di LHC tramite un acceleratore di energia più bassa: prima in una direzione poi in quella opposta. I due tubi si incrociano nei punti dove sono collocati i quattro esperimenti e lì avvengono le collisioni. Al momento dell’iniezione i due fasci hanno l’energia data dall’acceleratore di lancio, quindi più bassa. Poi si attiva il potente sistema di accelerazione e l’energia cresce, fino ad arrivare ai livelli desiderati (l’8 novembre scorso è stata di 2,76 Teraelettronvolt, ndr). È un processo delicato, durante il quale l’acceleratore viene monitorato con molta attenzione: quando si arriva all’energia “di crociera” vengono fatti tutta una serie di test per verificare che i fasci siano ben collimati, che le posizioni siano quelle corrette e così via. A quel punto vengono aperti i collimatori – delle specie di otturatori analoghi a quelli delle macchine fotografiche – e vengono attivati i rivelatori più sensibili, che avrebbero potuto danneggiarsi nelle precedenti fasi non stabili; quindi si iniziano a raccogliere i dati.



Voi però avete annunciato dei risultati anche prima di questa fase?

Durante il periodo in cui i fasci sono non stabili, ci sono già delle collisioni. È accaduto anche qualche giorno fa, quando ancora si stava mettendo a punto la macchina e non si prevedevano ancora delle misure; ma  la curiosità dei fisici è grande e così abbiamo deciso di tenere accesi i rivelatori più robusti, rischiando un po’, e abbiamo studiato le prime collisioni ottenendo i risultati cha hanno fatto il giro del mondo. È un po’ come con i satelliti per esplorazioni spaziali: prima di prendere i dati stabilmente bisogna attendere che il satellite raggiunga la sua orbita e che siano fatti tutti i controlli alle apparecchiature di bordo; tuttavia, è difficile resistere alla tentazione di dare un’occhiata a quello che gli strumenti possono vedere.



In una delle prime interviste a caldo, lei ha parlato di numero di collisioni limitato; cosa intendeva?

Accelerare fasci di nuclei è molto più difficile di quanto non lo sia con i protoni: è difficile produrre un gran numero di nuclei e ancor più arduo farli stare insieme, data la loro elevata carica elettrica per cui tendono a respingersi disperdendo il “pacchetto”. Di conseguenza con i nuclei la frequenza delle collisioni è decisamente inferiore a quella che si ha con i protoni, circa dieci milioni di volte di meno. Inoltre per i nuclei, così come per i protoni, c’è una fase di “apprendimento” della macchina, che inizia con un’attività modesta per poi aumentare progressivamente: è quello che faremo nelle prossime settimane, fino al 4 dicembre.

Quindi per ora continuate ad accumulare dati?
 

Consideri che per ogni collisione si producono moltissime particelle, molte migliaia. Quindi la quantità di dati raccolti è enorme e la loro successiva elaborazione complessa: anche solo le operazioni più elementari, come ricostruire le traiettorie delle particelle, valutare le loro energie e altre caratteristiche di base può richiedere mesi. In questo momento i dati di ALICE sono analizzati da oltre ventimila computer, sparsi un po’ ovunque nel mondo.

E nei prossimi anni?

L’anno prossimo prevediamo di aumentare la frequenza delle collisioni di un altro fattore dieci. Ogni incremento di frequenza permette di passare progressivamente all’osservazione di fenomeni sempre più rari e interessanti. E quello di questi giorni è solo l’inizio di una serie di esperimenti che si sviluppano nell’arco di molti anni. Vale anche qui l’analogia dell’esplorazione spaziale; in particolare pensi a quando è stato lanciato il telescopio Hubble: in entrambi i casi gli scienziati hanno a disposizione uno strumento di osservazione nuovo e, a parte i primi risultati immediati, il grosso del lavoro si sviluppa negli anni attraverso la paziente elaborazione della grande quantità di dati che diventano disponibili. Gli esperimenti con fasci nucleari all’LHC proseguiranno per tutta la decade: ogni anno l’acceleratore funzionerà  per setto-otto mesi con i fasci di protoni e per circa un mese con fasci di nuclei.

Vi aspettate presto qualche sorpresa o solo una gran mole di dati da studiare?

Quando si entra in un territorio completamente nuovo come questo ci sono sempre sorprese. D’altra parte non posso dire quali aspettarsi, altrimenti non sarebbero sorprese. Certo, in situazioni in cui c’è un salto di energia così forte, ci sono sempre delle novità. I primi dati che stiamo studiando sono comunque molto interessanti e speriamo che si consolidino nelle prossime settimane per poterli diffondere.

Che nesso c’è tra questi esperimenti e gli altri tre? C’è cooperazione o concorrenza?

In questo momento tre dei quattro esperimenti (oltre ad ALICE, anche ATLAS e CMS, sempre a guida italiana, ndr) stanno prendendo dati dalle collisioni dei nuclei e sono ovviamente in concorrenza. C’è da dire che il  nostro esperimento è stato progettato appositamente per questo tipo di analisi e quindi contiamo di poter fare una gamma di misure più ampia e più ricca; ma su alcuni dei punti importanti gli altri due sono perfettamente competitivi e penso che ci daranno del filo da torcere. Ma sarà comunque importante anche per noi e siamo ben contenti della competizione, perché qualunque risultato scientifico di una certa rilevanza ha bisogno sempre di una verifica ed è essenziale per la vitalità di una ricerca che ci siano più esperimenti, del tutto indipendenti, in pista.

(a cura di Mario Gargantini)

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