Quanto piccolo può essere un impianto idroelettrico? Secondo la classificazione ufficiale dell’UNIDO (United Nations Industrial Development Organization) si può parlare di piccoli impianti con potenza al di sotto dei 10 megawatt ma anche di mini impianti al di sotto del megawatt e addirittura di micro e di pico idroelettrico, con potenze inferiori ai 100 e ai 5 kilowatt. Classificazioni a parte, resta il fatto che le potenzialità di questa fonte energetica sono superiori a quanto si potrebbe pensare; lo ha dimostrato anche l’interesse emerso durante un recente convegno nell’ambito della manifestazione Greenergy, in Fiera Milano. Ilsussidiario.net ha incontrato il professor Giancarlo Giudici, chairman del convegno e docente presso il Politecnico di Milano – MIP School of Management.
Cosa si intende per mini-idroelettrico?
Gli impianti mini-idroelettrici trasformano l’energia dell’acqua in energia elettrica, laddove le condizioni di portata e di salto dell’acqua sono in grado di generare potenze inferiori ai 10 megawatt. Si tratta di impianti di piccola dimensione, con un basso impatto ambientale, che recuperano energia dove ci sono piccole portate con alti salti, o viceversa. Attualmente in Italia questo tipo di impianti beneficia di incentivi per la produzione di energia, con il meccanismo della tariffa unica per gli impianti sotto 1 megawatt e con il meccanismo dei certificati verdi per gli impianti più grossi. Questi impianti utilizzano turbine di tipo Kaplan, Pelton o Francis a seconda delle loro caratteristiche, oppure tecnologie meno “convenzionali” come le coclee (viti senza fine) o i rotori (i classici “mulini”). Esistono anche impianti molto piccoli, con potenza inferiore a 10 kilowatt, utilizzati per l’autoconsumo nelle zone rurali, come i rifugi alpini, i campeggi o le malghe.
Quali sono i motivi che lo rendono una opportunità interessante?
Si tratta di una opportunità interessante perché, rispetto ad altre fonti di energia rinnovabile, gli impianti idroelettrici sono caratterizzati da costi inferiori, soprattutto per quanto riguarda la manutenzione, oltre che da livelli di rendimento ed efficienza più elevati. Un impianto idroelettrico può funzionare 24 ore su 24, al contrario dei pannelli solari e dei pali eolici, che in mancanza di sole e di vento non riescono a generare energia. Inoltre il bilancio energetico per un impianto idroelettrico è decisamente favorevole, perché si tratta di una tecnologia consolidata, che ha bisogno solo di una turbina meccanica, di un alternatore e di un sistema di controllo. Per l’eolico e il fotovoltaico invece l’energia impiegata per la costruzione degli impianti è molto più alta rispetto a quella che si riuscirà ad ottenere. Inoltre gli impianti di piccola dimensione hanno un impatto ambientale molto più contenuto rispetto ai grandi impianti.
Qual è la situazione italiana, allo stato attuale e in prospettiva?
In Italia le potenzialità di sfruttamento dei grandi bacini idroelettrici sono pressoché esaurite. Peraltro, negli ultimi anni si è assistito a un rapido sviluppo anche degli impianti di piccola dimensione. A fine 2009 i dati forniti dal gestore della rete elettrica riportano una potenza installata per tutti gli impianti idroelettrici pari a 17,7 gigawatt. In aggregato i piccoli impianti, con potenza inferiore ai 10 megawatt, contribuiscono a una piccola fetta, pari a 2,6 gigawatt. Si può stimare che gli impianti oggi in esercizio in Italia sotto 1 megawatt sono oltre duemila.
Le stime riportano un potenziale massimo di sviluppo del mini-idroelettrico in Italia nei prossimi anni fra 2 e 2,5 gigawatt, tenendo conto sia di nuovi impianti, sia della messa in piena efficienza di quelli già esistenti. Ovviamente tutto dipende da come si evolverà nei prossimi anni il sistema di incentivazione delle tariffe.
Ci sono elementi che possono frenare o rendere poco conveniente il ricorso a questa fonte?
L’elemento più critico è rappresentato dai tempi di autorizzazione, che sono molto lunghi. In Italia le competenze per gli impianti di potenza inferiore ai 3 megawatt sono in capo alle Province, che impiegano mediamente dai due ai quattro anni per l’autorizzazione. Oltretutto in alcune Province è in atto una moratoria, per cui il rilascio di nuove autorizzazioni è fondamentalmente bloccato. Inoltre in molti casi per lo stesso sito sono in concorrenza più richieste di concessione e questo contribuisce a complicare l’iter aumentando il rischio di controversie e di ricorsi.
Anche gli impianti di piccola dimensione debbono – giustamente – assicurare il deflusso minimo vitale dei corsi d’acqua per la tutela della flora e della fauna ittica e per non alterare l’ecosistema sottraendo acqua alla coltivazione.
Chi potrebbe (o dovrebbe) maggiormente avvantaggiarsi del mini-idroelettrico in Italia?
A mio giudizio i maggiori vantaggi potrebbero riguardare gli enti locali e i consorzi idrici. Nelle zone montane è possibile installare impianti negli acquedotti (che trattandosi di impianti artificiali non presentano problemi di deflusso minimo vitale per l’ambiente); così come nelle pianure è possibile recuperare e utilizzare i canali di irrigazione e di laminazione, con impianti flessibili e a basso costo, che possono recuperare energia che altrimenti andrebbe sprecata, con vantaggi sia per l’ambiente sia per le casse dell’erario. Lo stesso principio viene applicato agli impianti di depurazione, nello stadio finale dove le portate vengono rilasciate nell’ambiente.
L’elettricità prodotta potrebbe essere utilizzata per l’autoconsumo (riducendo così i costi della bolletta energetica) sia per la cessione alla rete.
Molti enti pubblici stanno approfittando di questa opportunità per valorizzare il patrimonio culturale dei vecchi mulini o dei vecchi opifici che lavoravano con magli idraulici, proponendo itinerari turistici eco-compatibili.
(A cura di Mario Gargantini)